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La fotografia del territorio e Insta-Mestre





Ciao a tutti,
inizio oggi questa rubrica, che si occuperà di fotografia, non per quella che può essere una considerazione generale o di massa, ma visto che devo cercare di parlarne io, per quella che è la mia ventennale esperienza professionale e la mia continua e mai finita (mai finirà), curiosità culturale e passione per questo ambiente. Mi scuso in anticipo però, per la mia, forse non precisa, maniera di scrivere.

Comincerò questo primo articolo, parlando di un progetto a me caro, poiché riguarda la nostra città, Mestre.
Risulta anche abbastanza adeguato con il tema del gruppo “Mestre Mia”, visto che nel tempo ho avuto modo di sviluppare più di un progetto di analisi fotografica sul territorio urbano della città che assieme viviamo.

Parto parlandovi di un mio grandissimo interesse che nacque dalla visione delle fotografie di un grande maestro quale era Gabriele Basilico nel 2001, proprio su di Mestre, che mi stupì profondamente poiché mi consegnava una visione della nostra città molto precisa e analitica.
Quel lavoro ha evidenziato degli aspetti peculiari di Mestre nel 2001, magari più “banali” all’occhio del suo abitante, ma proprio perché “non giudicati importanti” di conseguenza ”non osservati” riemergevano prepotenti nelle foto di Gabriele Basilico e poichè “visti” reclamavano giustizia ed interesse.

Ecco che nel corso degli anni una maggiore consapevolezza visiva e tecnica, ed il ricordo di quell’esposizione, mi ha fatto approcciare e delineare un progetto che mi ha permesso di documentare la nostra città non solo per come la sento io ma per come può essere rilevante ma, penso, “utile” documentarla.



Però prima di parlare di ciò, vi inoltro su alcuni minimi dettagli storici che rappresentano l’origine di questo tipo di fotografia, chiamata “Fotografia di territorio” o come usano definirla oltreoceano “New Topographics - A man altered landscape” (il nome prende origine da una grande mostra a proposito della mutazione dei territori americani dal dopoguerra in poi, fatta negli anni ’70).
Infatti, se pensiamo allo sviluppo industriale del secolo scorso ed il suo successivo passaggio al post-industrale, pensiamo anche alle estreme conseguenze patite dal secolare processo della natura che diventava così schiavo di una progressiva artificializzazione del mondo e dei suoi paesaggi.
A differenza dei secoli passati il processo romantico (tipico del ‘700 e ’800) tra il “paesaggio costruito” ed il “paesaggio naturale”, è lentamente sparito lasciando lo scettro a dei mutamenti radicali nel segno del caos.

Necessitava e diventava vitale in quegli anni, documentarlo con il mezzo più immediato ed utile, la fotografia.

Ecco che allora, anche in Italia la “fotografia di territorio” che ben accetta dunque l’idea della “New Topographics”, ha cominciato ad occuparsi di descrivere le mutazioni dei paesaggi e le metamorfosi che hanno portato gli stessi ad evolversi da grandi spazi agresti a spazi urbanizzati.
Nasce e si aggrega in quel periodo un nucleo di capiscuola che hanno fatto della loro visione dei territori, un tratto distintivo in un crescente mare di immagini fotografiche.
Parlo di Luigi Ghirri, Arturo Quintavalle, Mimmo Jodice, Gabriele Basilico, William Guerrieri, Guido Guidi, Olivo Barbieri, Giovanni Chiaramonte, Vincenzo Castella, Francesco Radino, e molti, molti altri, magari poco conosciuti al grande pubblico, ma che diventeranno importantissimi ai giorni nostri per i lavori fotografici eseguiti in quegli anni.

Questi grandi “prelevatori di immagini” che si apponevano ai colleghi americani, (ricordo solo i miei prediletti quali Stephen Shore, Lewis Baltz ed Walker Evans senza però dimenticare la scuola europea di Dusseldorf con i coniugi Becher) hanno creato un Atlante di un’Italia in fase sia di espansione urbana che di modifica stravolgente dei suoi paesaggi.
Nel contempo hanno documentato tutti i risvolti positivi e negativi di questa metamorfosi, con linguaggi fotografici che spesso sfioravano la poesia, come nel caso di Luigi Ghirri.
Partendo dalla visione di Italia del dopoguerra in pieno sviluppo economico, per arrivare ai giorni nostri.
Ne parla molto Roberta Valtorta in un suo bellissimo libro che si chiama “Luogo ed Identità nella fotografia italiana contemporanea” per cui rimando gli interessati a questo volume di rara precisione, dedicato sicuramente ad un lettore competente.

Perché vi parlo di ciò? Perché quando parliamo di “fotografia di un territorio”, dobbiamo partire da dei presupposti ben precisi, che non sono il semplice fotografare qualcosa, ma il relazionarsi con il nostro “sguardo verso la città”, con il nostro luogo, e razionalizzare la nostra visione al fine di creare il nostro racconto dei posti, così come suggerito e concretizzato da tutta la fascia dei fotografi della “New Topographics” .
Cercando di capirne i tratti distintivi con attenzione e pazienza, e basandoci sulla “sua storia”.
Gabriele Basilico usava dire che bisognava avere uno “sguardo lento”, io aggiungo (ma non sono il solo) che bisogna avere uno “sguardo progettuale e acculturato”, inteso a raccontare non la parte “fenomenale” ma bensì la parte più “anonima” e “quotidiana” dei luoghi per raccontare al meglio la “medietà” del vivere moderno.
Non tramite il “guardare di più” ma il “guardare meglio”.
Non a caso le periferie e gli aggregati cementizi rappresentano al meglio le “città medie” dove abitiamo.
E dopo tutto, Mestre rappresenta l’archetipo della “città media” del tri-veneto.



Passati i tempi della “fotografia emozionale” o della “fotografia dell’attimo” (escluso il “reportage fotografico” nel senso più stretto del termine) , perchè oramai inflazionati e ridondanti nel bacino di deposito delle immagini che troviamo nel web, la “fotografia documentaria del territorio” rimane un importante tema nel descrivere i tempi ma sopratutto i luoghi dove l’umanità vive.
Rendendo così possibile una analisi dell’evoluzione abitativa e della necessità di aggregarsi comunemente accordata nel condividere spazi e luoghi.

Ora passo però ai miei diretti risultati.
Con questi presupposti nel 2011 mi sono approcciato a descrivere il mio territorio, la mia città, cercando prima di tutto di avere bene in testa un metodo ed una visione complessiva di tutto il lavoro che avrei fatto, e dopo quattro anni, nel 2015, sono riuscito a concretizzare “Evolutio Visio - Sulle orme di Gabriele Basilico - Mestre 2015”.
Ma questo progetto ha subito ben tre ripensamenti nel corso di questo periodo e un esempio precedente ad Evolutio Visio (che ne è la concreta risultanza) è visionabile qui



“Insta-Mestre” voleva essere una seconda visione (dopo un primo progetto che non ha dato una sufficiente soddisfazione) , fatta usando Instagram, della Mestre che percorrevo e guardavo quotidianamente usando un mezzo sempre disponibile, quale il telefono, ma il risultato finale, per quanto interessante, era deficitario di un esame critico ed asettico del visibile.
Ero sicuramente inteso (o succube) ad una parte emotiva, e forse molto “low-fi”, il tutto dovuto al mezzo di ripresa.
Era inteso, ad esempio, ad un maggior dettaglio dei luoghi ripresi. Dettaglio che sarebbe poi sparito in “Evolutio Visio” per dare spazio ai volumi abitativi nel senso più ampio.
Inoltre il senso di “non -luogo” emergerà di più nella fase di “Evolutio Visio” che in “Insta-Mestre”.
Infatti nell’ultima fase la mancanza voluta dell’elemento umano rende ancora di più straniante ed “in attesa” le parti della città riprese, quasi ad indurre ad una voglia di “essere abitate” o ad una sensazione di “eterna attesa”.

La prossima volta ve ne parlerò meglio.
Spero di non avervi annoiato e, scusatemi se non sono stato sufficientemente chiaro, i vostri commenti in merito saranno graditi.




Tutti i testi e le foto sono protette da copyright.
E' vietato ogni utilizzo o riproduzione anche parziale non espressamente autorizzato dall'autore.
Giovanni Cecchinato Fotografo - All rights reserved - © 2017

Lo Sguardo e l' Ombelico 25 marzo 2017 Massimo Siragusa


Lo Sguardo e l'Ombelico - 25 marzo 2017

Centro Culturale Candiani - Mestre Venezia

Massimo Siragusa






“State of the art” si direbbe in inglese, “lo stato dell’arte della fotografia di territorio” invece mi ha suggerito un collega fotografo, architetto, nonché autore (vista la presenza dei suoi lavori fotografici alla Biennale di Architettura di Venezia del 2014).
Così mi ha salutato ed è esordito, alla fine dell’incontro con Massimo Siragusa, tenuto ieri al Centro Culturale Candiani, mi è parso più che giusto e ho condiviso il complimento.




Un grande autore, che un nutrito gruppo di amici fotografi stava aspettando con impazienza, poiché tutti interessati alla fotografia di territorio, di architettura, di interni.
Una mole di lavoro imponente che Massimo Siragusa ci ha raggruppato in due sequenze eloquenti, una sul lavoro “Teatro d’Italia” diventato un libro nel 2012 edito da Contrasto, l’altra su “Lo Spazio Condiviso” lavoro di indagine sui circoli d’Italia, che riflette le mille anime e i mille caratteri di questi spazi di aggregazione.
Una fotografia lenta e ragionata, molto precisa e basata su inquadrature rigorose e ferree, che tradiscono la passione per la scuola di Dusseldorf e la reinterpretano in una chiave prettamente mediterranea.

Esperienza e piccoli aneddoti, in un paio di ore volate così ad ammirare una fotografia delicata e precisa che può invece mutare con progetti nuovi e più aggressivi come quello sulle periferie di Roma.
Massimo Siragusa ci ha lasciato sicuramente dei germogli che non mancheranno di fiorire, tenendo conto di alcune regole ben precise nella fotografia, (che ci hanno anche consegnato gli autori precedenti), studio, impegno, rigore di applicazione e progetto … perché la fotografia è una cosa importante.






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Lo Sguardo e l'Ombelico 28 gennaio 2017

Lo Sguardo e l'Ombelico - 28 gennaio 2017
Centro Culturale Candiani - Mestre Venezia

Riccardo Caldura (prof. di Fenomenologia delle Arti Contemporanee all’Accademia di Belle Arti di Venezia)

Fulvio Bortolozzo (docente allo IED di Torino, fotografo e curatore della rivista/laboratorio REST)





Ogni autore citato è linkato ad una pagina di riferimento per permettere di avere informazioni aggiutive.


Il rapporto tra la fotografia e l’arte è stato il centro del discorso del prof. Riccardo Caldura (insegnante di Fenomenologia delle Arti Contemporanee all’Accademia di Belle Arti di Venezia). Un escursus didattico che partendo dal lavoro di Lazlo Moholy-Nagy e dell’avanguardie Dada e Bauhaus arriva agli anni 60/70 con un altro fenomeno rilevante che è quello del New Topographics americano e degli inevitabili riversamenti negli artisti dell’europa di quegli anni e la nascita della scuola di Dusseldorf. Ci viene fatto osservare quanto il concetto alla base dell’intenzione dell’artista ed il metodo espressivo dello stesso sia preponderante rispetto alla fotografia che viene vista solo come una fredda operatrice che riporta il fatto in esame nel suo più realistico contenuto.
Nei suoi riferimenti troviamo Douglas Huebler ed Edward Rusha, che ci fà capire come il concetto prevale sull’atto fotografico . Passando alla scuola di Dusseldorf ci siamo concentrati sul concetto di griglia di Bernd ed Hilla Becher con gli allievi Andreas Gursky, Thomas Stuth e Alex Hutte.

Fulvio Bortolozzo invece ci propone una panoramica ricca di aneddoti, partendo dalla meccanicità delle fotografie di Edouard Baldus e Nadar, parlando poi di Alfred Stieglitz, Eugene Atget, Walker Evans, August Sander, Robert Frank, Mario Giacomelli, Lee Friedlander, arrivando a Stephen Shore, William Eggleston, Luigi Ghirri e Gabriele Basilico … non abbiamo avuto il tempo di continuare il percorso.
Rammento in queste righe che Fulvio è curatore di una rivista che si chiama “REST” e che potete trovare in vendita qui, inoltre tiene un blog sulla fotografia a questo indirizzo.

Fatto sta che in questo primo incontro abbiamo avuto maniera di ripercorrere la fotografia del ‘900 per riappropriarci di autori che ci serviranno per capire i percorsi dei prossimi ospiti. Abbiamo fatto le dovute distinzioni tra fotografia ed Arte, o almeno abbiamo capito in che casi la fotografia lo diventa. Non mi resta che ricordarvi che il prossimo autore Efrem Raimondi sarà da noi al centro Culturale Candiani l’11 di febbraio alla 18:30.


Si ringrazia ancora il Centro Culturale Candiani ed i suoi dirigenti nonché i tecnici e lo staff per avere creduto in questa iniziativa e contribuito al successo di questo incontro insieme allo sponsor tecnico PHOTO MARKET VIDEO di Mestre.




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Les Rencontres de la photographie, Arles

date » 07-09-2016 22:03

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tags » Arles, Rencontres, Fotografia, Mostre, Incontri, Storie,

47ˆ Edizione - Settimana di apertura dal 4 al 10 luglio 2016
Dopo circa 8 ore di guida, arrivo ad Arles, una cittadina appena al di sopra di Marsiglia, posizionata a Nord solo a pochi chilometri dalla foce del Rodano. Arles è il più grande comune della Francia, con un territorio superiore a quello di Parigi. I monumenti più importanti, però, sono a pochi passi l'uno dell'altro, nel centro storico di questa bella cittadina che vivacchia placida sulle sponde del Rodano. Ha un passato glorioso, di cui conserva l'Arena e il Teatro Romano, a cui bisogna aggiungere il portale e il chiostro della Chiesa di St. Trophime, tutti entrati a far parte del Patrimonio mondiale dell'Umanità tutelato dall'Unesco. Arles è punto di passaggio obbligato durante una visita in Provenza, soprattutto per chi vuole visitare la Camargue.

Quando arrivo il cielo è terso e spira sempre una brezza da nordovest che rinfresca la calura e la rende secca. Così, tramite il presidente del Fotoclub Padova, al quale mi sono aggregato, in maniera metodica ed organizzata mi sono preparato a questa mia prima visita a "Les Rencontres de la Photographie".

Qui vi metterò alcuni scatti ed alcune considerazioni



Già la prima mostra mi colpisce ed affascina, "La perfetta imperfezione", (una collettiva ... parliamone ... uno degli artisti è Joan Fontcuberta) un esempio a dir poco lampante sul concetto di fotografia d'arte. Spesso se ne discute in maniera anche fin troppo ampia. Ma il succo rimane che la fotografia artistica è il mezzo con cui un artista contemporaneo si esprime, cioè la fotografia diventa un mezzo, non l'origine, non viene da un "fotografo" e prioritariamente campeggia il concetto o ancor di più il progetto di comunicazione ed il suo relativo linguaggio. Per cui se vedi foto come queste e ti viene il classico "ma che che foto sono?" "non capisco.. ma che c...o di foto!", ecco, ... passa oltre che và bene ...



Don Mc Cullin, non ha bisogno di presentazioni, una bellissima antologia dei suoi più famosi lavori in una delle location centrali. Mostra bellissima, dove peraltro si ha l'occasione di vedere com'era Palmira, prima di venire distrutta dai talebani. Dai suoi primi lavori alle ultime riflessioni sui paesaggi. Qui un accostamento a Salgado viene ovvio, anche lui distrutto interiormente dalle visioni delle guerre torna a sublimare la bellezza della terra ... per cucire e guarire le sue cicatrici dell'anima ... come il fotografo brasiliano ... però con meno ... meno pubblicità.



Ad Arles ogni muro è buono per diventare una piccola esposizione, rimandi, appuntamenti, feste, vernici, di tutto... tanti giovani artisti non selezionati appendono le loro foto sui muri.. una maniera a basso budget per far vedere i propri lavori.



Uno dei punti di ritrovo principali della cittadina è la piazza Du Forum, dove tutti i ristorantini in queste settimane lavorano senza sosta. Un punto dove ti puoi ritrovare a mangiare a fianco di qualche celebrità del mondo fotografico che mangia la tua stessa paella. Lì si danno appuntamento tutti e nel caos generale la vita della cittadina diventa una specie di movida fotografica.



Oltre alle esposizioni ufficiali, un centinaio di altre location vengono adibite ad esposizioni. Così ti può capitare di entrare in un garage fino a poco tempo prima abbandonato, che invece ospita i giovani emergenti della fotografia europea. (sic! .... e che foto!)



Interessante lo Yakusima Photography Festival che porta i suoi migliori lavori ad Arles. In uno bello spazio le fotografie giapponesi emergono in tutto il loro minimalismo, e con la solita armonia insita dei loro paesaggi. Sperimentazione di alcuni, documentazione di altri. Anche le modalità di esporre diventano gioco visivo.





In una cittadina che mi ha sorpreso, per la mitezza del clima, e l'aspetto, un po fatiscente degli edifici, non poteva mancare un aspetto turistico che però, pare appassioni tantissimo i camarguesi. La "Course Camarguaise", una sorta di scontro con il toro, che (per fortuna) non viene ucciso ma solo affrontato da un gruppo di corridori che devono sfilare una marca dalle corna dell'animale, di corsa ... tenendo conto che l'animale spesso rincorre ferocemente chi gli si avvicina. E le incornate sono frequenti .... (... non rompete le balle al cavaliere nero!!)





Qualche aspetto serale degli incontri che si protraggono fino a tarda sera.



Les Ateliers, uno spazio enorme dove gran parte delle esposizioni si concentra. Un vecchia zona industriale riconvertita, bellissima, dove a fianco la grande archistar Frank Gehry, sta realizzando una zona di esposizione veramente futuristica.



La lettura dei portfoli avviene in varie parti della città. Centinaia di giovani si avvicendano per sottoporre ai "guru" i loro lavori. Ad ognuno sono concessi 20min, qualche settimana prima dell'apertura della manifestazione tutti i lettori erano "sold out" ... ma quanta fotografi ci sono?



Il Maestro Ferdinando Scianna ad Arles per una sua esposizione in una delle gallerie del centro.



A pochi chilometri da Arles, il mediterraneo lambisce Les Saintes Maries de la Mer ... un piccolo ma carinissimo paese, vale la pena trascorrere qualche ora.





Una delle mostre che più mi hanno colpito, quella di Eamonn Doyle "END". Grandi fotografie di gente e posti di Dublino, portano a ragionare su degli elementi di decadenza del genere umano. Un europa anziana, spenta, preoccupata, la parte giovane senza futuro, schiavizzata dai mass media. Un lavoro enorme e grandioso, in termini fisici proprio. Alcune foto erano grandi come i muri che circondavano lo spazio espositivo. Coinvolgente.

Esponevano inoltre, Michael Ackerman, Andres Serrano, Maurizio Cattelan & Pierpaolo Ferrari, William Klein, Yann Gross, Bernard Plossu, Sid Grossman, Ethan Levitas / Garry Winogrand e tantissimi altri. Le mostre rimarranno aperte fino al 25 settembre 2016. Qui il sito ufficiale. Les Rencontres

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Le domande del bianco e nero. Parte tre

date » 08-09-2016 04:26

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Le domande del bianco e nero, ovvero del "meglio avere dubbi che avere solo certezze"
Piccolo vademecum ai quesiti del fotografo proto-cosciente.
Critica un sapiente e lo renderai ancor più sapiente. Critica uno stolto e ti farai un nemico.

Parte Tre - La post-produzione e la stampa

Ed eccoci arrivati alla terza parte.

Qui si aprono molte diatribe, dal post-prod si, al post-prod no. Fatto sta che da sempre su questo campo ci si è scontrati in molti, e con molte discussioni su di uno o sull'altro fronte.

Forse non a caso in questi giorni mi è capitato sottomano un articolo con intervista ad uno degli stampatori più influenti della scena milanese (forse mondiale) Roberto Tomasi. Qui l’articolo. Le considerazioni da lui fatte sono interessanti e a mio avviso tutte apprezzabili. Senza nulla togliere allo sviluppo analogico, le riflessioni sul futuro della stampa digitale sono realistiche. 

Storicamente il lavoro di un bravo stampatore era molto complesso, uno scatto buono era già frutto di un lavoro precedente soprattutto mentale da parte del fotografo , ma doveva venire necessariamente rifinito dallo stampatore. Un esempio sono queste foto di Thomas Hoepker su di Muhammad Ali, e una di Bob Henriques di HCB, ma esistono molti altri esempi.


Bob Henriques


Thomas Hoepker

A breve distanza di tempo la polemica su Steve Mc Curry ha acceso dibattiti polemici su tale pratica ... Ma se possiamo fare un ragionamento, a mio avviso, il tutto ha il limite definito dalla personalità, dal linguaggio, o dal pensiero espositivo dell’autore. Quindi il processo di post-produzione ai giorni nostri non si sottrae al compito di completare la valorizzazione del nostro scatto e questo richiede una buona dose di conoscenza e di tecnica. Senza andare a sbordare nel pacchiano o nel kitsch.

Tecnicamente dobbiamo arrivare ad un estrazione del nostro file RAW che sia quanto meno allineata con i profili che abbiamo impostato sulle nostre fotocamere. Dobbiamo conoscere a fondo il nostro estrattore RAW (sia esso Adobe CR, Lightroom o Capture One) (io propendo per l'ultimo) e arrivare alla nostra estrazione di un file Psd il più possibile pronto ed esente da vizi ed errori. 

Ricordando poi che nell’intervallo tra il bianco 255,255,255 ed il nero 0,0,0 esistono (guardaunpò) 254 gradi di grigio…. che sarebbe bene non diventassero alla fine solo 2/3 per moda o per imperizia… non sò se mi spiego …

PS!!! Ecco a cosa serve quell’immagine che ho allegato in evidenza all’apertura dell’articolo… che io uso come riferimento.

Ed ora proviamo a farci le domande inerenti alla post-produzione (sono solo alcuni spunti !!)

- Ho lavorato con i profili giusti tra la camera e l’estrattore raw?
- Ho gestito bene il contrasto?
- Quanto necessita un controllo per singolo colore, al fine di creare le giuste differenze di bianco e nero? Ergo: dall’immagine a colori ho prodotto un bianco e nero fedele?
- Ho capito bene come ritrovarmi un bianco non bruciato nell’immagine? (dunque NON 255,255,255) e mi rimando ai controlli da effettuare durante lo scatto!!
- L’immagine dove dovrà essere pubblicata (web o stampa?)
- Sto lavorando in maniera di preservare tutte le informazioni all’interno del file?
- Ho individuato le aree da schiarire e quella da scurire?
- Ho deciso il metodo con il quale andare a scurirle o schiarirle?
- Ho valutato se croppare l’immagine per darle maggior senso compositivo?
- Ho valutato prima di tutto, se l’immagine deve venire stampata, come trattarla?
- Successivamente ho pensato agli algoritmi migliori per portarla su web e farla apprezzare al meglio senza perdere definizione o avere eccessive maschere di contrasto?
- Ho intrapreso una visione di prova valutando i profili di uscita stampante / carta?
- Il profilo finale dell’immagine è adatto al web o alla stampa?

Per me queste sono le domande principali, e continuo a ripetere che poi, ad ognuno debbono sorgere le proprie e nel porsele ... trovare le strade per risolverle.

Fino a che ci creeremo i giusti dubbi, avremmo modalità di crescere, mantenendo la giusta fiducia nella nostra visione e la volontà di raggiungere i nostri progetti.

D’altra parte il piccolo sentiero che abbiamo percorso, ci ha fatto capire che non esiste uno scatto in sè che non sia preceduto da un pensiero e seguito da un lavoro di sviluppo.

"La fotografia non è facile, soprattutto per i fotografi" (S. Benedusi)

Adesso vi lascio ai vostri pensieri ed ai vostri scatti.

Ed qui ho finito con il tediarvi … :-D 

Ciao!

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Università IUAV Venezia. Incontro con gli studenti

date » 08-09-2016 04:54

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tags » architettura, Evolutio Visio, fotografia, fotografia architettura, Gabriele Basilico, IUAV, Venezia,


Venezia
Evolutio Visio

- - -
Forse mi ripeto, ma non è mai stato facile per me esporre adeguatamente i miei concetti fotografici e parlare dei miei progetti.

Figuriamoci in un ateneo importante come l'Università IUAV di Venezia.

Forse una delle più importanti facoltà di Architettura in Italia.

Fatto sta, che una docente che ha avuto modo di vedere una delle mie esposizioni di "Evolutio Visio", mi ha invitato a discutere e a presentare il mio progetto ad uno dei corsi del primo anno di formazione.

Mi ha incuriosito, stimolato e mi è piaciuto parlare della mia fotografia e del mio modo di avviare un progetto fotografico.

Ed è stata un occasione per ribadire il ruolo importante della fotografia in questo contesto.

E' stata occasione per parlare e far conoscere il lavoro di Gabriele Basilico ad una platea di giovani che non avevano mai avuto modo di conoscerlo (per me pietra angolare della fotografia italiana).

Insomma, un grande piacere nonché onore.

Grazie di cuore alla prof. Claudia Faraone e all'amico Alessandro Angeli che si è preso la briga di fare qualche bello scatto.

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Gabriele Basilico, Ascolto il tuo cuore città

date » 12-09-2016 23:08

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tags » Ascolto, Città, fotografica, Gabriele Basilico, milano, mostra, Unicredit,

Milano, Unicredit Pavillion, dal 18 dicembre 2015 al 31 gennaio 2016.
- - -
Ecco il primo articolo di questo 2016, basato su una delle ultima giornate del 2015.

Una bella gita a Milano a vedere la spettacolare mostra di Gabriele Basilico, “Ascolto il tuo cuore città”. Una mostra antologica a qualche anno dalla sua scomparsa. In un posto veramente bello, l’Unicredit Pavillion, nello spettacolare quartiere di Porta Nuova a Milano. Simbolo di una edificazione bella e futurista. Con una piazza che attrae visitatori forse più di tante storiche piazze italiane.

A parte il viaggio piacevole e la compagnia di due amici ed un bel sole che non vedevo da quasi un mese (visto il dominio incontrastato della nebbia in questo passato dicembre), la visita all’esposizione è stata ricca emozioni e sorprese. Una scorsa tramite i lavori più acclamati di Gabriele Basilico, che lo hanno portato ad essere un riferimento fotografico non solo per i fotografi italiani, ma anche per i fotografi stranieri.

Il titolo della mostra contiene una citazione intrinseca al lavoro di Alberto Savinio, che nel 1944 scrisse “Ascolto il tuo cuore città”, profondo ragionamento pieno di speranze per il futuro in una Milano appena uscita dai bombardamenti bellici ed in procinto di ricrearsi. Forse implicitamente un augurio che lo stesso fotografo rifà alla sua amata città, o forse un accorato e sincero sentimento di amore per questo luogo.


L’interno dell’ Unicredit Pavillion

La struttura della mostra affronta i temi principali della carriera di Gabriele Basilico, “I porti di mare” “Beirut” “Ritratti di Fabbriche” “Porta Nuova” ed altre immagini a colori famosissime di alcune megalopoli mondiali ritratte con il suo particolarissimo sentire, “Metropolis”.

Una serie di filmati che lo ritraggono giovanissimo ma già autore acclamato, riprendono i temi che lo hanno contraddistinto ed il “fine sentire dello sguardo” padre del suo “vedere lento”. Un insieme di fotografie (150) molte di grande formato, che fanno vagare lo sguardo alla scoperta di dettagli infinitesimali ma non per questo poco importanti.

In un bianco e nero strepitoso, così come nella gestione del colore sempre posato e morbido, tutta la mostra contiene una visione dell’Italia che potrebbe da sola esprimere tutta la nuova urbanità, ed il nostro habitat attuale. Una specie di riferimento enciclopedico che dovrebbe fare da pietra miliare dello sviluppo del nostro territorio. Senza escludere le visioni delle altre metropoli mondiali che da sole basterebbero per essere rappresentative della vita umana attuale se dovessimo parlare di noi a dei popoli alieni.

Non mi dilungo oltre, vale la pena prendere l’auto od il treno ed andarla a vedere, lascerà in ognuno di voi una nostalgica sensazione, ed un sentimento di vuoto per la scomparsa di una persona così importante, capace di interpretare il nostro mondo tramite il suo obiettivo.

Qui il link ufficiale alla mostra.


Unicredit Pavillion, Gabriele Basilico – Milano

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Evolutio Visio, l'inaugurazione


Mostra fotografica di Giovanni Cecchinato
Centro Culturale Candiani di Mestre Venezia
(Sulle orme di Gabriele Basilico)


In esposizione dal 14 novembre al 13 dicembre 2015
dal mercoledi alla domenica dalle 16:00 alle 18:00
3^ piano sala Paolo Costantini

Mostra Fotografica a cura di Riccardo Caldura e Giovanni Cecchinato
In collaborazione con Università IUAV di Venezia

Gabriele Basilico e Mestre
Era settembre del 1996 ed al Padiglione Italia ai Giardini della Biennale di Venezia venivano esposte 6 sequenze di foto che rappresentavano delle ipotetiche vie di comunicazione basate sui due assi Ovest-Est e Nord-Sud del territorio italiano. Le foto erano parte di un progetto di Stefano Boeri ed erano eseguite da Gabriele Basilico. Il progetto mirava a rappresentare questi assi di comunicazione ed a far emergere gli spazi inabitati, creando una nuova maniera di raccontare fotograficamente gli ambienti urbani che tutti noi viviamo. Il tutto venne poi raccolto in un libro firmato dai due autori dal titolo “Italy – Cross Section of a Country”. Questo progetto diede maniera a Gabriele Basilico di re-introdursi nel florido (allora) territorio del Nord-Est, in quel momento ricco di contraddizioni, ma dopotutto conosciuto per via di relazione materna e dunque ancorato ai sentimenti di una gioventù passata nel trevigiano nei momenti di pausa estivi. Nel 2001, in occasione della collettiva “TerraFerma” Gabriele Basilico ripercorre in specifico i luoghi dell’Urbe Mestrina per poi esporli al Contemporaneo di Mestre. In questa esplorazione visiva, egli permette l’emergere di visioni nascoste in una città senza forma cresciuta a dismisura e senza concetto, motivata solo dall’essere abitata o come si dice di qui “nata per far dormire gli operai”. Ed è li dove io lo incontro e rimango incantato dal suo lavoro. Le foto di Gabriele Basilico per me furono “pazzesche”. Come in maniera magica Escher ci prende in giro e ci stupisce nei sui percorsi alla Mobius, così Gabriele Basilico mi fece scoprire una città che abitavo ma non guardavo e il suo lavoro mi restò impresso in maniera indelebile. In un bianco e nero essenziale, tramite una percezione personale che lo contraddistingue e ne rende ogni inquadratura una visione esclusiva alla maniera di un alchimista della realtà che prende il piombo e lo tramuta in oro, lui vide Mestre e la rappresentò sia con critica che con grazia, quasi a far emergere una bellezza che risiede nei dettagli ma si perde nel contesto. Non a caso la manovra chirurgica delle inquadrature, intese a non includere ciò che disturba ma custodisce solo ciò che può esserne esaltato, permettono a chi fruisce delle immagini di restare stupito difronte a manufatti fino al momento prima anonimi o addirittura mai scorti.

Il progetto fotografico di Evolutio Visio
Per ciò che invece mi riguarda personalmente,parto dalla considerazione che nell’affrontare la professione di fotografo, spesso i temi e le necessità di adempiere bene ad una commissione, inducono ad esplorare tutte le possibili difficoltà e a trovarne una soluzione adeguata. Solo dopo un duro apprendistato e molte esperienze negative si può creare una visione propria. Pertanto come disse Lewis Baltz “Analogamente ad altri sistemi, anche le strategie artistiche offrono più informazioni riguardo a se stesse nei momenti di disfunzione rispetto a quando procedono senza intoppi”. Ne consegue che nel procedere della crescita professionale si acquisisce una sensibilità propria ed una capacità di giudizio dovuta ai confronti, li indico così in maniera riduttiva, continui che non hanno niente a che vedere con un giudizio che può invece avere la massa di un pubblico non addetto. Dico ciò perché quando intrapresi nel 2011 l’inizio di questo progetto ero reduce da vari tentativi di visione fotografica su Mestre, che pensavo potessero essere sufficientemente apprezzabili ma alla fine, non lo erano mai. Solo con l’introduzione dell’uso di una macchina tecnica cominciai a capire come esprimere la mia visione adeguatamente. Nello sviluppo del progetto in questi anni, inoltre, il confronto con la visione di Gabriele Basilico, mi ha più volte interdetto e instillato il dubbio sulla prosecuzione del lavoro, vista la qualità e la indiscutibile saggezza dello sguardo dell’autore, ma dopotutto certe idee sono dure a morire. La mia poi verteva sul fatto che mi sarebbe piaciuto poter rivedere la mia città a distanza dalla sua analisi e capirne le evoluzioni o le possibili, quasi certe, involuzioni. Mano a mano che il tempo si svolgeva, il mio modus operandi si è affinato ed i risultati divenivano finalmente apprezzabili. Ed ecco che in questo ultimo anno il progetto in toto prendeva una forma propria e poteva esserne apprezzato per completezza e rigorosità. In un incontro con Giovanna Calvenzi, moglie del defunto fotografo, le parole emerse sul progetto sono proprio quelle di “completezza e rigorosità”. In un confronto con i docenti dell’Università di Architettura di Venezia invece sono emersi i temi di importanza del progetto al fine di una identificazione che permetta alla città di discostarsi dal termine “non luogo”. Insomma un insieme di 57 immagini di largo formato che sia in bianco e nero sia a colori dovranno permettere di esaminare lo sviluppo urbano di Mestre dopo 15 anni dall’esame del famoso fotografo.

Evolutio Visio
Il titolo del progetto incarna, assimila, una molteplicità di interpretazioni. Per quanto i termini latini siano inequivocabili, a seconda della visione mi piacerebbe sperare che le risultanze possano cambiare. Evolutio nel termine latino sottintende un atto, che non ha niente a che vedere con la logica Darwiniana in se, ma include invece il gesto di svolgere un volume od un plico. Io lo ho sostituito con il gesto, o meglio con quello che è l’atto fotografico. Nella Visio, invece, viene inteso il punto di vista od il concetto, che ritengo sia la base di ogni singolo progetto, la partenza da un concetto.… Assieme possono dare l’idea di essere probabili genitori di una evoluzione sia della maniera di guardare sia della possibile maniera di vivere o progredire nella città. In questo titolo si concentra tutto il progetto fotografico e la spiegazione che si può avere su di esso, lasciando neutro ogni ragionamento in loco e tuttalpiù rimandarlo a posteriori se vi è necessità di esso.

Tutte le foto sono di © Andreas Ikonomu 2015

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SI Fest Savignano sul Rubicone

L’appuntamento con Savignano Immagini è uno di quelli a cui un buon appassionato di fotografia non può rinunciare. Vista la densità di mostre presenti e di personale addetto ai lavori.

Sono partito da Mestre, ed in un paio di ore il paese di Savignano sul Rubicone mi ha ben accolto con un bel sole, che poi comunque nella giornata avrebbe lasciato a tratti il palco per lasciare il posto ad un a pioggerellina leggera ma non fastidiosa.Tutto il paese è organizzato per contenere in questi tre giorni un insieme di iniziative di tutto rispetto: esposizioni, incontri, dibattiti, letture portfoli, insomma un concentrato di attività fotografica.

Devo dire che le mostre che ho visitato erano molto belle ma alcune erano sicuramente di un livello qualitativo enorme. Mi riferisco, ma forse qui sono un po di parte, al lavoro di Gabriele Basilico sull’Iran 1970, lavoro giovanile ma con tratti di maturità enormi. Questo a confermare le doti ed il talento del giovane fotografo che sarebbe diventato un riferimento per molti pochi anni dopo. Il corpo lavoro rieditato dalla moglie Giovanna Calvenzi e diventato un libro e fà scoprire con stupore dopo 45 anni questi scatti taciuti.

La sezione dedicata invece a Mike Brodie intitolata “A period of a juvenile prosperity” mi ha letteralmente fatto sobbalzare. Quando si dice talento, visione, fotografia, tutto questo viene riassunto in un ragazzo di diciassette anni che si sposta con i treni in una terra sconfinata come quella tra l’Arizona e la Florida per andare a trovare i propri amici. E intanto fotografa. E’ l’unico caso che posso appurare di un fotografo che ha talento anche senza esserne conscio, e non come supposto dalla totalità delle giovani leve che si affacciano alla fotografia. Tanto è vero che nel suo lavoro si respira questa mancanza di presuntuosità e viene confermato dal fatto che, scoperto e diventato un apprezzato fotografo dai media americani, ed emulato da centinaia di aspiranti nei toni ma non nelle intenzioni, lui abbia deciso di continuare a fare il meccanico e non altro.

Molto bello il lavoro di Martina Bacigalupo e come al solito le foto oniriche di Paolo Ventura che raccoglie le sequenze di Douane Michals e ne trae una visione personale. Anche tutti gli altri autori sono sicuramente interessanti, ma nell’insieme questi mi hanno raggiunto particolarmente. Alla fine, in questa kermesse, ho anche incontrato vecchi amici ed è nata l’occasione per bere assieme un havana-cola alle 3 del pomeriggio mentre qualcuno si fumava beatamente un sigaro ed il tutto è diventato un bel momento di rilassamento e di piacevole dialogo.

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Steve McCurry, From this hands Venezia Arsenale

date » 17-10-2016 23:06

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tags » Arsenale, fabio novembre, fotografica, from, hands, lavazza, mostra, steve mccurry, this, Venezia, Venice On Set 29 2015,

Steve McCurry
From this hands: A journey along the coffee trail
Venezia, Arsenale, Tesa 113
dal 23 Settembre all’8 Novembre


Venezia alla mattina presto con la bora chiara che spazza le nubi.
La via delle Fondamenta Nove, praticamente nessuno intorno. Ho deciso .. vado a piedi …

Due giapponesi si fermano, continuativamente, a fotografarsi. Ma i capelli coprono ogni volta i volti. Riprovano. E ancora …
Seguo tutto il percorso delle fondamenta (arriverò tra un oretta), sono esposto a nord-est …. tira forte questa bora. Chissà com’è il mare fuori?
Vedo le ochette in tutta la laguna, chissà com’è al largo? (mi ripeto). I vaporetti vengono letteralmente spinti dal vento.
Ho trovato la Callas che mi salutava. Ma poi mi sono accorto che salutava anche altri. Tutti. Flighty….
Venezia di mattina col sole basso delle 8, in questo settembre, è onirica.
Ombre lunghe da est che cozzano contro i muri rossi delle case di Canareggio.
Di fronte a me San Michele e Murano splendono, con il contrasto di un cielo terso, che mi fà vedere le Prealpi friulane, da Piancavallo in poi. Mi pare che siano qui. Le posso toccare … no … lascia perdere.
Devo chiudermi la giacca… e anche il bavero, il vento mi infastidisce il collo.
Tra le case abbandonate in riva, cresce ogni tipo di erbaggio … è curioso … ma non per la fondamenta, per la via, spazzata dal salso, ma sulle pareti, in alto, dove l’acqua piovana arriva… strategie di sopravvivenza floreali.
Passo in fianco all’ospedale, rampe, tecnologia, organizzazione, dopo un minuto di cammino, il cenciaiolo, lui si scusa, ma si chiama “straseta” (straccetto). Ci Convive? Contrasto di luce, contrasto di vita.
Passo dentro, al riparo, sono arrivato a Castello, almeno per un po … non prendo il vento in faccia. Il sole passa tra i pertugi delle case e dei campielli. Le ombre lunghe tornano a salutarmi e la luce dorata rimbalza su ogni cosa.
Ma devo ri-uscire, all’aperto, per superare l’Arsenale … e farmi la passerella, rivedo Murano, da qui è proprio bella.
Dai … ecco l’entrata, Il Thetis è proprio nascosto, faccio fatica a trovare dove hanno allestito la mostra.
Poi la trovo e finalmente posso vedere l’esposizione.

L’enorme struttura è riempita da tanti libri enormi, che aperti, al posto delle pagine, hanno ognuno due foto di Steve McCurry retroilluminate. L’installazione è stata curata da Fabio Novembre e non c’è niente da dire sulla scenicità di tutto l’impianto. D’altra parte, lui, è uno dei talenti italiani più riconosciuti. Una musica pervade l’aria, stile “il Gladiatore”. E’ molto marcato l’aspetto epico del tutto … a me un po stomaca …
A quanto pare la Lavazza non ha badato a spese.
Di sicuro le foto sono belle, curate, colorate, come d’uso del famoso fotografo.
Ma ogni foto mi racconta di una cura enorme, eccessiva, nell’uso della luce … ambiente … più sapienti flash .. schiarite … qualche volta con ritocchi anche eccessivi in postprod, che mentre in certi ritratti emergono anche le porosità della pelle, in altre spariscono a mò di modella plasticata.
Di sicuro un lavoro enorme, ma che non mi sento di elogiare, chiaramente sempre in maniera del tutto personale. Mia opinione personale. Solo personale.
Piacerà sicuramente a molti … a me non troppo.

Dopo un po esco, eravamo in due a guardare la mostra. Forse per via del fatto che è mattina ….
Torno ai Bacini … questo giro torno con il vaporetto, una mezz’oretta di viaggio e sarò di nuovo a piazzale Roma.
Mi siedo e mi assaporo il rientro, mentre l’acqua della laguna gioca animosamente con il vento ed il finestrino.
Due ragazzi inglesi sorridono e mi domandano informazioni. Mi sà che stanno rientrando in patria, guardano tutto estasiati. Sono felici, catturano gli ultimi istanti …. Devono essersi appena sposati. Sono sempre appiccicati. Si .. secondo me .. si sono sposati da poco….
Belli.

Dopotutto … ho fatto una bella camminata … si … Venezia vale sempre la pena …

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