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Insegnare la fotografia

date » 03-08-2023 14:39

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tags » Philip Perkis, insegnare, fotografia, fotografo, Giovanni Cecchinato, Note,

Devo rimanere con questo fatto fino alla fine, che tutto ciò che mi hanno insegnato in una vita intera si oppone al farlo
Philip Perkis




Oggi tutti sono fotografi.
Basta avere uno smartphone.
Si sa.

- “Hai visto che bella foto ho fatto?”.
- “Tu? O il tuo telefono? (con i suoi automatismi e la sua AI)”.


Anche gli insegnanti di fotografia proliferano.
Dando poche nozioni tecniche basiche.
Di certo nessuno si avventura a spiegare la luce pilotata dai flash, magari dei monotorcia (con tutto il corredo di shaping che segue) o l’uso dei generatori, che rimangono oggetti oscuri ai più … che poi … oscuro ad un illuminatore è un bell’ossimoro.
Creando, allegramente così, un mix di fuffa e intenti ereditati degli anni ’70, dentro ad un puro cocktail egocentrico.
Dress code requested: “ho io la verità”.
Seguiti da allievi ipovedenti che si permeano dell’ovvio.
Ovvii restano.

Nessuno punta alle domande cardine.
Perchè fotografare è una domanda continua.
Nessuno pensa al momento storico attuale ed al ruolo della fotografia in questa società.
In bilico tra la funzione letterale e quella dell’interpretazione del fotografo ed il suo apporto nella post-produzione.
Quale ne è più utile?
Quale resterà ai posteri?
Cosa resterà nel prossimo futuro?

Esperire il significato di cio che è.

Ma dopotutto la fotografia è in parte colpevole di aver permesso la caduta del sistema linguaggio, tramite l’immissione (fuorviante spesso) della sensazione visiva che completa un messaggio (Human Universe, Charles Olson).

Se ne deduce che fotografia sbagliata = messaggio sbagliato, o spesso, quasi sempre, ancora ...
fotografia inutile = messaggio inutile.

Ma il discorso è troppo lungo.

E dopotutto nessuno è perfetto, si sa, e le domande non se le pone neppure chi vanta esperienze lavorative pluri-decennali o chi della didattica ne ha fatto una professione vera, impegnato già nel reperimento e nella ricerca di modelli che possano adempiere ad una didattica attuale e contemporanea.

Così alla fine, la percezione della "fotografia" rimane un fatto molto soggettivo.
Spesso soggiogata al “famolo strano”, erogatrice di una sensazione temporanea e tanto più evanescente, nebulizzata, soggetta all’oblio.

Sopratutto nel mainstream, indottrinato da luoghi comuni, soggetto a mode e stilismi (non stili, stilismi).

Hai voglia a farlo diventare oggettivo.

Ho trovato interessante questo piccolo saggio di Philip Perkis, fotografo ma sopratutto insegnante di fotografia alla School of Visual Arts di New York per svariate decadi.
Suggerisce un percorso di crescita ed approfondimento nel vedere/guardare prima di fotografare.
Che detta così è ovvia, ma sappiamo rappresenta il percorso più difficile da intraprendere correttamente.
Qualche esercizio, vari aneddoti, una lettura semplice e non intricata.
Sempre soggettiva la visione dei temi o dell’approccio agli stessi.
Di seguito le note, gli appunti, sono sempre opinabili, ma nel complesso (anche) questa lettura risulta essere foriera di nuovi interrogativi e nuovi stimoli.

Lascio volentieri ai più la certezza di avere in mano la verità sulla fotografia.

Io non ce l’ho.

Per me “la fotografia è morta” (cit. ER), evviva la fotografia.


Philip Perkis
Insegnare fotografia
Note Raccolte
Ed. Skinnerboox sett '18




La serena inquietudine del territorio - numero zero

LSIDT_copertina_1.jpg

Le ragioni ed i propositi del progetto de
“La serena inquietudine del territorio”



Paesaggio
Porzione di territorio considerata
dal punto di vista prospettico o descrittivo,
per lo più con un senso affettivo cui può
più o meno associarsi anche un’esigenza
di ordine artistico ed estetico(1)



Era il 2008 quando, riflettendo sulla trasformazione della mia città e della mia regione, mi venne in mente questo ossimoro, quello relativo ad una ‘serena inquietudine’. Una sorta di maschera, che pervade il luogo che abito. Che si vorrebbe essere fatto a misura d’uomo, abitabile, ergonomico, studiato a priori. Che invece risulta essere costruito per strati, a posteriori, con vari impedimenti e poco razionale. Ma si vive, per forza, facendo ‘buon viso a cattivo gioco’. Così, a quel tempo, pensai di avviare un progetto di indagine fotografica sul territorio veneziano che tentasse di restituire quella sensazione.
Questa idea si arrestò poco dopo, per via della sua trasformazione in quello che sarebbe diventato poi “Evolutio Visio - Mestre 2015” un progetto specifico sulla città di Mestre che andava a confrontarsi con il lavoro di Gabriele Basilico, da lui effettuato 15 anni prima sul territorio mestrino. Lavoro esposto in più occasioni ed in più parti d’Italia, che aveva come fulcro una visione della città di Mestre che si poteva considerare come ‘città media’ e, di conseguenza, archetipo di molte altre realtà urbane. Città che si era evoluta, città che si era cristallizzata.
Ripresi quell’ossimoro e divenne una realtà quando, nel 2016, decisi di creare una pagina sul social Facebook con quel titolo, che mi auguravo riunisse autori che, sposando questa visione, sviluppassero nuove indagini, allargandone il campo a tutto il Veneto. Non avrei mai sperato in tanta partecipazione e interesse, avvenuti con il totale entusiasmo da parte di tutti i partecipanti a questo progetto.
Vista poi la quantità di materiale prodotto dai singoli autori, in quest’anno di reclusioni casalinghe dovute alla pandemia ho pensato che ci si potesse avvicinare al concetto di “patronato ideologico”(2) mirando a uno sviluppo tangibile del materiale migliore postato sulla pagina e, vista la mancanza di due dei tre soggetti principali necessari ad indagini similari, cioè una committenza pubblica ed il soggetto mediatore, mi sembrava fosse una buona idea quella di sviluppare con tutte queste fotografie una rivista cartacea, non più indagine personale ma di ricerca di gruppo, autoprodotta ed autogestita.
Oggi qui, tutti assieme, prendiamo in mano il risultato finale di quell’idea iniziale, cercando di abbozzare quella “iconografia dell’incerto”(3) che nella sua multiforme estensione ed eterogeneità assume una rilevanza rispetto alla visione di ogni singolo autore. Una mappatura di ‘luoghi minori e non’, di una parte delle province venete (purtroppo non tutte) che in questa fase ‘pilota’ tenta di indagare non solo la poetica ma anche la malasorte degli spazi urbani e rurali, dove la destinazione ad una ‘lettura’ a posteriori potrebbe diventare utile per chi effettivamente può (e dovrebbe) darne una soluzione.
Mi auguro che possa esserci in futuro l’opportunità di continuare ad indagare e riflettere sulla nostra regione (definita così solo in termini ‘di territorio’ e di progetto, e senza nessuna visione campanilistica). Regione che, come molte altre, ‘inquietamente’ continua a sopravvivere sotto una sorta di ‘serena’ superficiale normalità.
E alla fine di tutto questo progetto (lo spero vivamente) potrebbe accadere che “saremo riusciti a capire quello che stavamo cercando solo dopo averlo trovato”.(4)
In conclusione, e osservando il risultato finale di questo numero “0” (per cui, ripeto, assolutamente ‘pilota’), mi rendo conto che un impianto fotografico cosi eterogeneo e diverso, per stili ed espressione, non debba assolutamente intendersi come definitivo o esaustivo, ma mi auguro sia prodromico a pubblicazioni successive con obiettivi specifici, e che diventi uno strumento utile a interpretare i luoghi che in questo piccolo spazio temporale ci sono stati dati (‘concessi’) da vivere, ricordando il pensiero che Luigi Ghirri fece a riguardo dell’ambiente, che già negli anni ’70/’80 mutava, ed era già “un disastro visivo colossale”, quindi, oggi, con il nostro esame fotografico, proveremo ad apportare a tutto ciò una ‘critica’ in maniera dialettica e non come facendone un ‘assunto’.(5)



Il magazine è acquistabile qui sulla piattaforma di Blurb


Note
(1) Dionisio Gavagnin, Fini & Confini - Dal Paesaggio al Territorio, dal catalogo dell’omonima mostra al MuPa;
(2) William Guerrieri, La fotografia come pratica culturale, p. 209, da PhotoPaysage, ed. Quodlibet;
(3) Malvina Borgherini, Sul mostrare, p. 57, da PhotoPaysage, ed. Quodlibet;
(4) Jo Nesbø, L’uomo di neve, cit. da Stefano Munarin in Territorio, urbanistica, fotografia: una piccola storia tra autobiografia e vicende collettive, da PhotoPaysage, ed. Quodlibet;
(5) Luigi Ghirri, Lezioni di fotografia, p. 54, ed. Quodlibet.
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