“
Devo rimanere con questo fatto fino alla fine, che tutto ciò che mi hanno insegnato in una vita intera si oppone al farlo”
Philip Perkis
Oggi tutti sono fotografi.
Basta avere uno smartphone.
Si sa.
- “
Hai visto che bella foto ho fatto?”.
- “
Tu? O il tuo telefono? (con i suoi automatismi e la sua AI)”.
Anche gli insegnanti di fotografia proliferano.
Dando poche nozioni tecniche basiche.
Di certo nessuno si avventura a spiegare la luce pilotata dai flash, magari dei monotorcia (con tutto il corredo di shaping che segue) o l’uso dei generatori, che rimangono oggetti oscuri ai più … che poi … oscuro ad un illuminatore è un bell’ossimoro.
Creando, allegramente così, un mix di fuffa e intenti ereditati degli anni ’70, dentro ad un puro cocktail egocentrico.
Dress code requested: “ho io la verità”.
Seguiti da allievi ipovedenti che si permeano dell’ovvio.
Ovvii restano.
Nessuno punta alle domande cardine.
Perchè fotografare è una domanda continua.
Nessuno pensa al momento storico attuale ed al ruolo della fotografia in questa società.
In bilico tra la funzione letterale e quella dell’interpretazione del fotografo ed il suo apporto nella post-produzione.
Quale ne è più utile?
Quale resterà ai posteri?
Cosa resterà nel prossimo futuro?
Esperire il significato di cio che è.
Ma dopotutto la fotografia è in parte colpevole di aver permesso la caduta del sistema linguaggio, tramite l’immissione (fuorviante spesso) della sensazione visiva che completa un messaggio (
Human Universe, Charles Olson).
Se ne deduce che fotografia sbagliata = messaggio sbagliato, o spesso, quasi sempre, ancora ...
fotografia inutile = messaggio inutile.
Ma il discorso è troppo lungo.
E dopotutto nessuno è perfetto, si sa, e le domande non se le pone neppure chi vanta esperienze lavorative pluri-decennali o chi della didattica ne ha fatto una professione vera, impegnato già nel reperimento e nella ricerca di modelli che possano adempiere ad una didattica attuale e contemporanea.
Così alla fine, la percezione della "fotografia" rimane un fatto molto soggettivo.
Spesso soggiogata al “famolo strano”, erogatrice di una sensazione temporanea e tanto più evanescente, nebulizzata, soggetta all’oblio.
Sopratutto nel mainstream, indottrinato da luoghi comuni, soggetto a mode e stilismi (non stili, stilismi).
Hai voglia a farlo diventare oggettivo.
Ho trovato interessante questo piccolo saggio di Philip Perkis, fotografo ma sopratutto insegnante di fotografia alla School of Visual Arts di New York per svariate decadi.
Suggerisce un percorso di crescita ed approfondimento nel vedere/guardare prima di fotografare.
Che detta così è ovvia, ma sappiamo rappresenta il percorso più difficile da intraprendere correttamente.
Qualche esercizio, vari aneddoti, una lettura semplice e non intricata.
Sempre soggettiva la visione dei temi o dell’approccio agli stessi.
Di seguito le note, gli appunti, sono sempre opinabili, ma nel complesso (anche) questa lettura risulta essere foriera di nuovi interrogativi e nuovi stimoli.
Lascio volentieri ai più la certezza di avere in mano la verità sulla fotografia.
Io non ce l’ho.
Per me “la fotografia è morta” (cit. ER), evviva la fotografia.
Philip Perkis
Insegnare fotografia
Note Raccolte
Ed. Skinnerboox sett '18