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Mementos of happiness, Uma Kinoshita

date » 02-11-2023

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tags » uma, kinoshita, mementos, happiness, libri, arte, fotografia, book, photography, artist, japan, washi, okuma-machi, fukushima,

UMA KINOSHITA
“Mementos of happiness”




Arrivato - finalmente - dopo molto tempo dal suo ordine, un libro davvero pregevole e, non di meno, molto interessante.

Appena arrivato, non vedevo l’ora di poterlo aprire e leggere , ma ho preferito fotografarlo per gustarmi con calma la sua scoperta e raccontarvi alcune sue peculiarità che supponevo prima e di cui poi, ne ho avuto conferma.



Prima di tutto l’autrice, Uma Kinoshita (www.umakinoshita.com) è una fotografa e scrittrice giapponese che produce i suoi libri in tirature limitatissime (questo fa parte di una serie di 5) fabbricati interamente seguendo un suo metodo artigianale molto raffinato e laborioso.

Carte, contenitori, stampa, tutto proviene da un lavoro manuale e certosino. “Mementos of happiness” è un’ indagine fotografica in un luogo ormai disabitato e impossibile da visitare, e ringrazio Uma di aver potuto arrivarci (anche rischiando, e poi capirete il perchè) e darcene una sua visione.

Come una Pryp”jat’ orientale, la cittadina di Okuma-machi nella prefettura di Fukushima è stata evacuata dopo lo tsunami del 2011, che provocò danni ingenti alla vicina centrale nucleare ed un disastro ecologico ancora attivo ai giorni nostri di cui si parla pochissimo. Ora è una città fantasma, vietata alle persone, ed accessibile solo con speciali permessi, poiché il livello delle radiazioni risulta ancora dannoso per la salute umana. A distanza di anni, però, le autorità dichiarano che in alcune parti della città è possibile riabitare, ma a quanto pare la sfiducia e la paura in merito è ancora tanta. Solo circa 400 persone sulle oltre 11.500 hanno chiesto di riavere la proprietà delle loro vecchie case abbandonate dal da quel fatidico pomeriggio del l’11 marzo 2011.

Le fotografie raccolte in più di anno da Uma, tramite la sua fotocamera ci raccontano, comunque, di un luogo che fu. Ci raccontano di un “c’era una volta” ed ora non più, ecco (forse) un raccordo con il titolo che non è citazione alla facile nostalgia o all’immagine retorica, ma tuttalpiù al latino “memento” più simbolico nel definire il “ricorda” e noi dobbiamo ricordarcene.

Usi e costumi ci parlano a distanza di anni, di come i bambini giocavano, (stavano giocando) di come si viveva, (stavano vivendo) della quiete che lentamente scorreva in questa cittadina, di vecchi nelle case di riposo, di case abitate con cura ed attenzione, prima di una evacuazione imposta e repentina nel pomeriggio di quell’11 marzo.




La delicatezza delle immagini e la loro resa sul supporto Kamikawasaki washi, carta di millenaria produzione in Giappone ancora prodotta artigianalmente. sono oniriche ed evocative.

Una ricerca documentale ma romantica che si ciba della maniera orientale di interpretare i paesaggi ed i luoghi di quella città, anche se “man-altered”. Come delle illustrazioni di Hokusai, e non a caso, come le grandi onde (ricordando Kanagawa) a duecento anni di distanza. Come se fossero reinterpretate tramite la fotografia ed una nuova narrazione.

Idea, progetto, realizzazione, artigianalità e passione, mi confermano la bontà di una fotografia “utile e pensata”. Non succube di una spasmodica ricerca del “famolo strano” in voga nel nostro mondo.

Lo scatto compulsivo, l’uso degli automatismi cellularoidi-droidi dominati dalla IA, risultano distanti da questo lavoro e dai lavori di Uma, a confermarmi, anche se non vi è bisogno, di un metodo fotografico ancora vivo se si hanno idee e condizioni giuste per fotografare.





Alla fine cado sempre li, quando vedo lavori validi.
Sulla competenza effettiva dell’autore, e non quella dichiarata dai social in cui vengono elevati a “ruoli non loro” dei semplici "fotografanti" (detto alla Italo Zannier) che si fregiano di competenze a loro invece sconosciute.

Vi consiglio di seguire Uma nei suoi lavori, nel suo sito e in facebook, mi pare non vi sia un profilo instagram (almeno io non sono riuscito e reperirlo).

A presto, con altre piccole disquisizioni sulla fotografia, quella di cui vale la pena parlare.






Tutti i testi e le foto sono protette da copyright.
E' vietato ogni utilizzo o riproduzione anche parziale non espressamente autorizzato dall'autore.
Giovanni Cecchinato Fotografo - All rights reserved - © 2023


Lo sguardo e l'ombelico VI edizione 2022

Lo sguardo e l'ombelico
VI edizione 2022
Centro Culturale Candiani
Mestre Venezia

“Lo sguardo e l’ombelico”, titolo di questa rassegna di conferenze sulla fotografia, arrivata alla sua 6^ edizione, rappresenta per me un grande impegno che riassume, nel suo titolo appunto, la dicotomia del “fare” fotografia in quest’epoca digitale, dominata dalla globalizzazione e dai social.
Se ”guardarsi l’ombelico” identifica metaforicamente un’atteggiamento egocentrico, poco sociale, preda dell’ ”Io” ma sopratutto poco rivolto ad un acculturamento e che rimane sulla superficie delle cose, “Lo sguardo” invece adempie alla funzione opposta. “Lo sguardo” diventa interprete, diventa sociale, guarda al “fuori”, al “noi”, a come gli eventi si spieghino in profondità o ne intravede le motivazioni perché ”lo sguardo” è preceduto da un acculturamento e non da un istinto temporaneo e fuggevole, dominato dalla soggettività.
Ecco perché dal 2017 questo percorso intrapreso, grazie alla fiducia della Direzione del Centro Culturale Candiani, ha portato nella nostra città, i grandi interpreti della fotografia italiana, per ribadire l’esperienza ed il confronto in questa pratica che è, ormai, diffusa socialmente (non so se dire) “grazie” all’avvento degli “smartphone” e che ne ha ridotto drasticamente il contenuto essenziale.
Dunque con lo scopo di esaminare ed approfondire questa dicotomia evidente.

Vi riassumo, senza perdere altro tempo, sinteticamente gli incontri in calendario a partire dal 1^ di ottobre.

Quest’anno avremo la fortuna di iniziare con un incontro di eccezione, con Giovanna Calvenzi che ci racconterà Gabriele Basilico, grande autore conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo. Purtroppo scomparso prematuramente. Il suo lavoro patrimonio della “fotografia italiana” è un lascito prezioso che non può che essere descritto da colei che più di ogni altra persona lo conosceva nei suoi pensieri e nei suoi progetti.

Carlo Garzia, letterato e antropologo, ha usato la fotografia per raccontare il sud-Italia liberandolo dal clichè del neorealismo, assieme a Mario Cresci. E’stato interprete ed autore nelle collettive dei momenti cardine di “Viaggio in Italia” di Luigi Ghirri, “L’insistenza dello sguardo” con Italo Zannier e “Archivi dello spazio” iniziativa storica del Mu.Fo.Co. tra il 1987 ed il 1997.

Luca Quagliato è un giovane fotografo che ha prodotto, assieme a Luca Rinaldi giornalista membro di IRPI (Investigative Reporting Project Itay), un volume molto importante sullo stato delle contaminazioni industriali nei territori del nord-Italia. “La terra di sotto” edito da Penisola edizioni,rappresenta un valido esempio di fotografia che unita all’indagine giornalistica produce una documentazione di un territorio, anche vasto e complesso come la Pianura Padana, e ne evince le problematiche sociali ed ambientali.

Antonello Frongia, è professore associato di Storia dell’arte contemporanea all’Università Roma Tre, dove insegna Storia della fotografia. Un critico e ricercatore che collabora con i maggiori enti fotografici nazionali. Curatore e scrittore è membro del comitato scientifico di Linea di Confine per la Fotografia Contemporanea ed è vice-direttore della rivista RSF.

Tony Gentile, chiuderà questa manifestazione, parlandoci di fotogiornalismo, settore in cui opera dal 1989. E’ stato uno dei maggiori reporter durante la guerra di mafia culminata negli attacchi del 1992. Ha fatto parte dello staff di Reuters, per più di 16 anni, coprendo incarichi di attualità, sport e costume di carattere internazionale, fotografando 3 Papi durante i loro viaggi apostolici in giro per il mondo. Sua l’iconica fotografia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che sarà per noi una buona scusa per parlare dei diritti d’autore.

Ecco, spero che questi appuntamenti diventino per voi, un momento di riflessione e di pensiero.
Una maniera per aprire i nostri sguardi e, spero, rivolgerli con più attenzione verso il nostro quotidiano, per interpretarlo meglio, in mezzo a questa confusione.

Vi aspetto.


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sguardo_1500px_2022_web.jpgLo sguardo e l'ombelico VI edizione 2022

JOBS Forme e spazi del lavoro

date » 09-09-2022 16:30

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tags » JOBS, linea di confine, william guerrieri, fotografia, contemporanea, emilia romagna, lavoro, quodlibet, rubiera,



JOBS
Forme e spazi del lavoro

Un indagine interdisciplinare in Emilia Romagna
Quodlibet / Linea di Confine
A cura di Antonello Frongia, Stefano Munarin, Federico Zanfi
Testi di
Marta de Marchi,Cristiana Mattioli, Michela Pace, Stefano Saloriani
Foto di
Allegra Martin, Nicolò Panzeri, Andrea Simi, Andrea Pertoldeo




Ricevo in questi giorni, un libro di ricerca sugli ambienti/spazi lavorativi in Emilia Romagna a sulla manodopera che vi lavora.

Un analisi molto dettagliata frutto di un team di esperti che sulla base di un bando emesso dal Ministero della Cultura ed in specifico dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea per Strategia Fotografia 2020 hanno dato vita a questo volume e ad una esposizione (vedi qui) tenuta nella sede di Linea di Confine a Rubiera (MO) dal 29 ottobre 2021 al 19 dicembre 2021.

Esposizione che ha visto oltre ai lavori, sempre sul tema del lavoro e dei suoi spazi, di due grandi autori come William Guerrieri (con Bodies of work) e Michele Borzoni (con Workforces) gli esiti di un laboratorio a cui partecipavo assieme ad altri fotografi con un piccolo progetto personale su di un ente di formazione di manodopera specializzata nel distretto di produzione calzaturiero della Riviera del Brenta (PD) che si titola “Terrae Calcei” (puoi vederlo qui).

Ma torniamo alla pubblicazione.
All’interno due saggi mi sono sembrati importanti in quanto riportano delle riflessioni sull’indagine fotografica contemporanea.
Punti che specifico e tratto qui, in questo mio diario, per ragionarci e memorizzare dei concetti, a livello personale, o spunto di future discussoni, ma che non riassumono o sintetizzano la complessa opera editoriale, alla quale vi rimando e, sopratutto, della quale ve ne suggerisco l’acquisto.

Un punto che mi ha colpito nel testo di apertura di William Guerrieri (coordinatore dell’intero progetto) è quando ragiona, partendo dalle considerazioni filosofiche di Paolo Costantini, della fotografia “come luogo autonomo della ricerca e non della mera rappresentazione del reale […] (luogo) nel quale vanificare l’usuale contrapposizione della fotografia come espressione artistica o come documento
Affermazione che dunque apre il presupposto ad avere un approccio che viene definito di ambiguità costitutiva.
Cosa che mi pone molte domande in merito, belle ed interessanti, da sviluppare.
Ma qui, a parte l'opinione o la visione personale, o forse una considerazione da non vedere come assoluta, me nella quale è utile soffermarsi, è giusto che vi sia uno spazio della libertà interpretativa.
Inoltre se ne potrà continuare a parlare a voce, ancora, tra di noi alla prima occasione di incontro, poichè dibatutta qui potrebbe essere solo una visione unilaterale e potrebbe diventare un monologo di poco conto.


dal progetto "Terra Calcei" esposto a "JOBS Forme e spazi del lavoro" a Rubiera (MO)


Nello sviluppo del testo emerge comunque la necessità di questa ricerca, e quella di nuovi linguaggi.
Linguaggi che esplorino le potenzialità espressive e ne sfruttino l’ambiguità del media fotografico, per metterle a disposizione di approcci che verifichino, dunque (senza farsi ingannare) la “ leggerezza aggettivante dell’economia dell’immateriale” (cit. Aldo Bonomi).
Altro punto che mi ha fatto riflettere anche sui presupposti delle ”ricognizioni sui territori” alle quali stiamo dedicando molta della nostra attenzione.

Ho trovato altresì interessante il saggio di Stefano Munarin e Federico Zanfi, in un punto, quando nel paragrafo “Cosa vediamo, come guardiamo”, viene sviluppato il tema dello sguardo sui territori e dei cambiamenti in atto nei luoghi del lavoro. In un punto specifico viene messo in evidenza quanto nei decenni passati, i cambiamenti si palesavano in maniera evidente e diretta tramite l’addizione di nuovi manufatti edilizi, mentre ora per capirne la metamorfosi ed i nuovi sviluppi, bisogna, forzatamente, entrare al loro interno per capirne i nuovi e modificati spazi e le loro nuove destinazioni d’uso.

Punti che mi hanno fatto riflettere ed aprire ulteriori considerazioni, anche se potrebbe essere quasi scontato o dato già per acquisito, direte voi, ma risulta utile per considerare o rivedere l'approccio, che necessita, dunque, sempre di più un analisi "interna", non limitata agli spazi o agli aspetti esteriori, che spesso prediligiamo o che rendiamo unico punto di vista di un indagine.


dal progetto "Terra Calcei" esposto a "JOBS Forme e spazi del lavoro" a Rubiera (MO)

Assieme al lavoro fotografico di alcuni valenti fotografi, rinomati nella scena della fotografia nazionale come Allegra Martin, Nicolò Panzeri, Andrea Simi, Andrea Pertoldeo il volume si sviluppa in maniera intensa e deve essere letto con attenzione e dedizione.
Occasione di valutare ed approfondire i temi di questo tipo di fotografia nei quali ci si era addentrati in occasione dell'incontro con William Guerrieri allo "Sguardo e l'ombelico" al Candiani il 9 di ottobre del 2021 (qui il video).

Buona lettura.



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La serena inquietudine del territorio - numero zero

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Le ragioni ed i propositi del progetto de
“La serena inquietudine del territorio”



Paesaggio
Porzione di territorio considerata
dal punto di vista prospettico o descrittivo,
per lo più con un senso affettivo cui può
più o meno associarsi anche un’esigenza
di ordine artistico ed estetico(1)



Era il 2008 quando, riflettendo sulla trasformazione della mia città e della mia regione, mi venne in mente questo ossimoro, quello relativo ad una ‘serena inquietudine’. Una sorta di maschera, che pervade il luogo che abito. Che si vorrebbe essere fatto a misura d’uomo, abitabile, ergonomico, studiato a priori. Che invece risulta essere costruito per strati, a posteriori, con vari impedimenti e poco razionale. Ma si vive, per forza, facendo ‘buon viso a cattivo gioco’. Così, a quel tempo, pensai di avviare un progetto di indagine fotografica sul territorio veneziano che tentasse di restituire quella sensazione.
Questa idea si arrestò poco dopo, per via della sua trasformazione in quello che sarebbe diventato poi “Evolutio Visio - Mestre 2015” un progetto specifico sulla città di Mestre che andava a confrontarsi con il lavoro di Gabriele Basilico, da lui effettuato 15 anni prima sul territorio mestrino. Lavoro esposto in più occasioni ed in più parti d’Italia, che aveva come fulcro una visione della città di Mestre che si poteva considerare come ‘città media’ e, di conseguenza, archetipo di molte altre realtà urbane. Città che si era evoluta, città che si era cristallizzata.
Ripresi quell’ossimoro e divenne una realtà quando, nel 2016, decisi di creare una pagina sul social Facebook con quel titolo, che mi auguravo riunisse autori che, sposando questa visione, sviluppassero nuove indagini, allargandone il campo a tutto il Veneto. Non avrei mai sperato in tanta partecipazione e interesse, avvenuti con il totale entusiasmo da parte di tutti i partecipanti a questo progetto.
Vista poi la quantità di materiale prodotto dai singoli autori, in quest’anno di reclusioni casalinghe dovute alla pandemia ho pensato che ci si potesse avvicinare al concetto di “patronato ideologico”(2) mirando a uno sviluppo tangibile del materiale migliore postato sulla pagina e, vista la mancanza di due dei tre soggetti principali necessari ad indagini similari, cioè una committenza pubblica ed il soggetto mediatore, mi sembrava fosse una buona idea quella di sviluppare con tutte queste fotografie una rivista cartacea, non più indagine personale ma di ricerca di gruppo, autoprodotta ed autogestita.
Oggi qui, tutti assieme, prendiamo in mano il risultato finale di quell’idea iniziale, cercando di abbozzare quella “iconografia dell’incerto”(3) che nella sua multiforme estensione ed eterogeneità assume una rilevanza rispetto alla visione di ogni singolo autore. Una mappatura di ‘luoghi minori e non’, di una parte delle province venete (purtroppo non tutte) che in questa fase ‘pilota’ tenta di indagare non solo la poetica ma anche la malasorte degli spazi urbani e rurali, dove la destinazione ad una ‘lettura’ a posteriori potrebbe diventare utile per chi effettivamente può (e dovrebbe) darne una soluzione.
Mi auguro che possa esserci in futuro l’opportunità di continuare ad indagare e riflettere sulla nostra regione (definita così solo in termini ‘di territorio’ e di progetto, e senza nessuna visione campanilistica). Regione che, come molte altre, ‘inquietamente’ continua a sopravvivere sotto una sorta di ‘serena’ superficiale normalità.
E alla fine di tutto questo progetto (lo spero vivamente) potrebbe accadere che “saremo riusciti a capire quello che stavamo cercando solo dopo averlo trovato”.(4)
In conclusione, e osservando il risultato finale di questo numero “0” (per cui, ripeto, assolutamente ‘pilota’), mi rendo conto che un impianto fotografico cosi eterogeneo e diverso, per stili ed espressione, non debba assolutamente intendersi come definitivo o esaustivo, ma mi auguro sia prodromico a pubblicazioni successive con obiettivi specifici, e che diventi uno strumento utile a interpretare i luoghi che in questo piccolo spazio temporale ci sono stati dati (‘concessi’) da vivere, ricordando il pensiero che Luigi Ghirri fece a riguardo dell’ambiente, che già negli anni ’70/’80 mutava, ed era già “un disastro visivo colossale”, quindi, oggi, con il nostro esame fotografico, proveremo ad apportare a tutto ciò una ‘critica’ in maniera dialettica e non come facendone un ‘assunto’.(5)



Il magazine è acquistabile qui sulla piattaforma di Blurb


Note
(1) Dionisio Gavagnin, Fini & Confini - Dal Paesaggio al Territorio, dal catalogo dell’omonima mostra al MuPa;
(2) William Guerrieri, La fotografia come pratica culturale, p. 209, da PhotoPaysage, ed. Quodlibet;
(3) Malvina Borgherini, Sul mostrare, p. 57, da PhotoPaysage, ed. Quodlibet;
(4) Jo Nesbø, L’uomo di neve, cit. da Stefano Munarin in Territorio, urbanistica, fotografia: una piccola storia tra autobiografia e vicende collettive, da PhotoPaysage, ed. Quodlibet;
(5) Luigi Ghirri, Lezioni di fotografia, p. 54, ed. Quodlibet.

Henri Cartier Bresson a Palazzo Grassi Venezia

Henri Cartier Bresson - Le Grand Jeu
Palazzo Grassi Venezia
Dal 11.07.20 al 20.03.21




Iniziata a luglio ed in programmazione fino a marzo, la mostra di Henri Cartier-Bresson rappresenta un vero tuffo nella storia della fotografia ed espone moltissime opere di questo caposcuola francese nato a Chanteloup-en-Brie (F) il 22 agosto del 1908.

La mostra installata a Palazzo Grassi a Venezia, rappresenta in maniera originale la famosa “Master Collection” del celebre fotografo. Cioè la sua personale selezione, fatta nel 1973, estrapolata dal lavoro di una vita e che vede esposte 385 stampe da lui definite la summa del suo lavoro. La stessa selezione è stata richiesta anche a cinque esperti famosi, creando così una diversa interpretazione del lavoro di questo grande fotografo. Quindi all’interno del percorso espositivo troveremo le sequenze prescelte, organizzate in editing differenti, da Francois Pinault, Annie Leibovitz, Javier Cercas, Wim Wenders, Sylvie Aubenas.

Henri Carier-Bresson, per chi non lo conoscesse, è uno dei fotografi più famosi al mondo e teorico di quello che viene definito “l’istante decisivo”. Negli anni ’30 girando il mondo, affina il suo sguardo che migra “tra stile, purezza geometrica e folgorazione surrealista”. Citando Platone diceva “Non entri nessuno che non conosca la geometria”. Infatti è uno dei primi fotografi a ricercare proporzioni e composizioni perfette ispirandosi ad Euclide ed ai principi delle proporzioni auree, che si compongono intuitivamente, senza sforzo, nel suo occhio.
Durante la guerra verrà catturato dai nazisti e rinchiuso a Ludwigsburg e solo al suo terzo tentativo di fuga riuscirà a ritornare in Francia. Nel 1947 in occasione di una sua retrospettiva al MoMA si creeranno le condizioni per fondare insieme a Robert Capa, George Rodger, David Seymour, e William Vandivert la famosa Agenzia Fotografica Magnum. Inizierà innumerevoli viaggi in cui farà molteplici reportage che gli daranno fama mondiale. Le sue foto saranno sulle copertine di innumerevoli magazine.
Life, Der Stern, sono solo alcuni dei periodici di quel periodo che pubblicano i sui lavori, che indagano i movimenti socio-geopolitici nel mondo di quegli anni.
Dagli anni ’50 in poi, esprimerà la sua concezione della fotografia in quella frase che molti usano ripetere ancora oggi (come una definizione propria, ma che non lo è) che si riassume in :” Fotografare è mettere sulla stessa linea di mira testa, occhio e cuore”.
Questo pensiero non assume, però, un significato di “unicità dello scatto”, anzi, quello di una ricerca continua che porta Henri Cartier-Bresson ad usare interi rullini per arrivare alla scelta di una sola foto che poi diventerà la sua prediletta.
Nella sua visione sarà imprescindibile usare una macchina fotografica Leica, prediligendo il bianco e nero, ma non disdegnando il colore.
Dagli anni 70 in poi, quando sarà acclamato a livello mondiale, il suo nome diventerà quasi un marchio di qualità, riassumendo le tre iniziali e diventando così HCB. Successivamente entrerà molto in disaccordo con “la fotografia” di quegli anni e lascerà l’Agenzia Magnum definendola una “ditta commerciale, con pretese estetiche”, creando contemporaneamente una sua Fondazione e morirà nella sua casa di Provenza nel 2004 a Cereste (F) all’età di 95 anni.

Tutti i riferimenti e le citazioni provengono da: “Henri Cartier-Bresson, lo sguardo del secolo” di Clément Chéroux.

Concomitantemente alla mostra di Henri Cartier-Bresson, segnalo l'interessante esposizione del fotografo egiziano Youssef Nabil, “Once Upon a Dream” che mette in risalto l'abilità dell’autore di ritrarre, di autoritrasi in maniera plastica e pittorica e di raccontare la società egiziana ed il mondo del cinema mediorientale.

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IpoTetico Diario #10 - Il viaggio e i leoni

date » 21-05-2020

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tags » viaggio, poesia, leoni, ipotetico, diario,



La vita non è un viaggio.
A te sembra. Non è così.
Non lo fai in compagnia.
Anche se sembra.
E finisce che la compagnia è quella che non avresti voluto.

Si è soli, devi saper fare la tua scelta.
Come una fotografia,
scegli tu dove guardare,
scegli tu cosa mettere dentro al mirino.
Nessuno ti aiuta, anche se qualcuno fa finta di farlo.
Non è come nei film, o nelle canzoni.

Te ne accorgi di notte, quando ti alzi per caso,
O come ogni notte?

E la tua coscienza è disturbata solo dal silenzio.
E forse pare più pulita.
Mentre accendi la luce e la tua ombra esce dalla finestra aperta.
E si abbraccia con la notte di maggio,
sparsa di profumo di gelsomini in fiore.





E’una guerra di stazionamento.
Dove devi resistere bombardato dal destino.
Perchè il mondo, in fondo, è in mano a chi bombarda.
Devi solo pensare di resistere.

La vita non è un viaggio.
E spesso ancora inciampo, come da piccolo.
Ma ho imparato a riprendere la posizione.
La vita non è il viaggio,
però ancora mi piace guardare
i leoni,
alla televisione.




Les Rencontres d'Arles 2019

Les Rencontres d'Arles 2019
50^ anni di successi del festival di fotografia più conosciuto in Europa



Quando Lucien Clergue (morto nel 2014) invitò nel 1974 Ansel Adams a questa piccola manifestazione fotografica, non poteva prevedere il successo a catena che si sarebbe creato. Insieme a Michel Tournier (morto nel 2016) e Jean-Maurice Rouquette, che ci ha lasciato quest’anno, formarono un gruppo capace di convergere l’attenzione mondiale dell’attività fotografica verso questa piccola città camarguese famosa precedentemente solo per il soggiorno del pittore Vincent Van Gogh.

Questo cinquantenario segna un momento di riflessione, svolta ed innovazione in questa rassegna. Lo stuolo di curatori di altissimo livello e l’organizzazione competente al massimo nel campo fotografico ha voluto rompere dei cliché ed avviarsi verso una rassegna i cui i nomi conosciuti mondialmente fossero assenti, ma altrettanti artisti di talento indiscusso e sicuramente di riferimento per il domani fossero invece i protagonisti.

Quando ho guardato per la prima volta il programma, confesso di non aver riconosciuto nessuno degli autori che venivano presentati. Con un po di sospetto ho cominciato ad avviarmi presso le esposizioni nei posti principali di centro città.
Posso assicurarvi , che subito dopo, una specie di sottile euforia ha preso il sopravvento e la voglia di esplorare tutti i restanti spazi mi ha assalito.

Spiccano tra tutte le mostre di Evangelia Kranioti “The living, the dead and those at sea”, Philippe Chancel “Datazone”, Mohamed Bourissa “Free Trade”, Mario del Corto “Vegetal Umanity, as the garden unfurls”, Cristian Lutz “Eldorado” e l’installazione di The Anonymous Project “The House”.
Progetti nuovi, realmente collegati al presente, citativi, ma allo stesso tempo capaci di scatenare pensieri, dubbi sul futuro, sulla nostra esistenza attuale e sulle diverse modalità di intraprendere i nostri percorsi di vita.



Evangelia KRANIOTI, greca, filmmaker e fotografa, ha esplorato i bordi delle esistenze e dei destini individuali tra cargo, marinai e prostitute, nel carnevale di Rio de Janeiro, nel Libano, in Africa e per finire nella necropoli del Cairo, usando una fotografia staged di altissimo livello che evocava a tratti Philip Lorca di Corcia.




Philip CHANCEL, in un lavoro durato 15 anni, ha esplorato le aree più sensibili del mondo per studiare e documentare i sintomi più evidenti del nostro declino, e mostrandoci in maniera inequivocabile i segni del prossimo, possibile, disastro.




Se Chancel si muove definendo zone geografiche sensibili, Mohamed BOURISSA esplora in maniera multimediale il libero scambio di merci. Evidenziando i ricchi “compratori”, coloro che “producono merce” nelle parti povere del mondo, ed i “disoccupati”, esercito invisibile che emerge solo se si sta usando un applicazione sul proprio smartphone. La mostra è stata allestita, non a caso, all'interno del MONOPRIX, un supermercato alla periferia di Arles.






Spettacolare l’installazione del lavoro di ANONYMOUS PROJECT, che seguendo i dettami dell’era post-fotografica, recupera immagini di autori anonimi per ricreare ambienti e sensazioni della vita degli anni ’50 e ’60. Momenti in cui si pensava ad un futuro prospero e felice, non di certo distopico come quello che stiamo vivendo.



Se queste opere, perché non posso chiamarle differentemente, mi hanno affascinato e colpito, le restanti hanno comunque avviato processi di pensiero, confronto e curiosità. Il numero delle mostre è sicuramente elevato e la settimana a disposizione non ha potuto permettere di vedere tutto, ma solo la parte principale de “Les Rencontres”.

Assieme alle esposizioni principali, dopo la Stazione, nello spazio Ground Control, i premi “Louis Roeder per le gallerie emergenti” ci ha introdotto a 10 selezioni di altissimo livello con giovani e sconosciuti autori che hanno presentato progetti personali, sociali, di indagine di qualità davvero superiore. Fra tutti il lavoro di Shinji Nagabe “Banana Republic” e JJ Levine “Family”.

Una retrospettiva sui 50 anni passati del festival ha creato la giusta connessione con il presente, unica pecca che nello spazio della chiesa “des trinitaires” (ma non solo in quello) il caldo era insopportabile. Pochi condizionatori e qualche ventilatore in molti spazi hanno sacrificato le visite e nei giorni più caldi, reso la visione di alcune mostre veramente impegnativa.





Nello spazio Mistral dedicato agli editori, non di meno allestito in un piazzale assolato, la permanenza è stata impegnativa ma nonostante tutto, vista la presenza di amici, vecchi e nuovi ci siamo trattenuti li per un bel po', con piacere. Possiamo dire che siamo stati fortunati ad avere un chiosco che spillava birra fresca molto vicino. Ritengo che come servizio di emergenza avrebbe dovuto essere più diffuso, noi ne abbiamo usufruito parecchio. Sia mai, per questioni di prevenzione della salute personale.

Una applicazione da scaricare gratuitamente nel telefono ci teneva costantemente informati degli eventi, le call, le conferenze, e gli eventi serali nei vari spazi della città.
Alla fine le considerazioni finali al rientro sono state più che positive, assieme agli spazi che prevedevano un recupero di progetti fotografici del '900 come quello sulle invenzioni, a volte molto bislacche, questa nuova ventata di aria fresca (solo fotografica) ci ha rinfrancato e caricato.
Se non fosse che nell’hotel dove ho soggiornato, non andava il condizionatore per 4 notti su 5, tutto sarebbe stato da catalogare come ottimo.
Ma come si sà non tutto fila sempre liscio.
Mi accontento ben volentieri.


Qui troverete il sito ufficiale del festival



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Giovanni Cecchinato Fotografo - All rights reserved - © 2019

Progetto "Ipogei di Ventotene" Aprile 2018

date » 24-04-2018 14:10

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tags » ventotene, speleologia, fotografia, grotte, arte, giovanni cecchinato, grana, isola, pontine, Roma, Lazio, archeologia,

Al venerdì prendiamo la strada di Formia, insieme a Steve ed a Maurizio, il nostro riferimento speleologico.
Maurizio è colui che ha scoperto le cavità che andremo a documentare. Grazie all’unione delle idee e delle conoscenze tra Maurizio e Steve nasce questo progetto che l’Amministrazione dell’isola di Ventotene ha preso in considerazione.
La macchina corre verso sud, ma la musica di Steve si lancia più a sud-est.
L’aliscafo alle 3 del pomeriggio ci porta velocemente verso Ventotene, ormeggiamo dopo circa un ora e subito dopo cominciamo a smistarci nei rispettivi alloggi.
Verso le 5 andiamo a piedi verso il sito ad effettuare una perlustrazione.
La situazione non è pericolosa ma neanche tanto sicura, non è semplice e non è veloce.
Sopra ai due ipogei è stata costruita una casa, le cui sporgenze sono precarie.





L’enorme buco antistante all'abitazione permette di individuare tre aperture; la centrale, quella più grande, è di sicuro il condotto di aerazione, la più piccola quello che resta del punto di accesso.
Passiamo parte del tempo a cercare di capire come organizzarci tra i due gruppi di lavoro; io e Steve cercheremo di fotografare (nel buio) ; Marco, Ilaria e Anna tenteranno di portare giù un laser-scan e creeranno, tramite dei target di riferimento, una visione matematica delle due cavità.
Il giorno dopo ci si alza presto e alle 8 si è già operativi e pronti ad andare nel luogo definito.
Maurizio prepara gli imbraghi e non senza qualche difficoltà ci caliamo fino al livello base di entrata dove poi verranno calate anche tutte le attrezzature.



I ragazzi del rilevamento laser arrivano, l’adrenalina sale e fa dimenticare ogni problema e, decisi, ci apprestiamo a scendere.
Vado avanti io, in avanscoperta e mi calo per primo nel pertugio di entrata.
E’ ostruito da una piccola frana, il che mi crea qualche difficoltà.
Ma dopo un po di lavoro sgomberiamo il passaggio.




Arrivo fino al confluire delle due cavità e lo spettacolo che mi trovo davanti non è dei più edificanti.
Data l’altezza delle due cavità di circa 5/6 mt, che si dipartono dall’ingresso come in una “L”, una montagna di rifiuti arriva quasi fino al soffitto e scende in forma conica verso i pavimenti, per forse 10 mt.
Probabilmente per un periodo, non proprio corto, di anni, si è gettato a dismisura in quel buco di tutto.
Nessuno ha mai riferito di nulla.





Il mio problema fotografico sarà quello di isolare quello che rimane libero dai rifiuti e dovrà permettere una identificazione del luogo.
Dovrò cercare di produrre una buona immagine, aiutato dalla luce di un faretto da 1000w, assoggettato però alla mancanza di corrente, che va’ e viene.
Ma se la fotografia è l’arte del risolvere, in questo frangente se ne avrà la più palese dimostrazione.
Mi sono velocemente accorto che tutta la ricerca iconografica fatta in queste ultime settimane può altrettanto velocemente essere dimenticata.
Dunque, forte concentrazione sul come si potesse portare a casa il minimo indispensabile.
Definiti i punti di interesse ci siamo messi al lavoro e nel giro di un paio d’ore siamo riusciti a definire qualcosa, nella prima zona di lavoro, mentre Marco (l'ingegnere del laser-scan) lavora nell’altra.
Fatta una pausa all’aria aperta ci sostituiamo di posizioni e mi appresto a fotografare li dove i segni della lavorazione della grotta si fanno più evidenti.



Arrivato il tardo pomeriggio, completati tutti i doveri siamo usciti "a riveder le stelle".
Aspetto di non poco conto che rallegra di colpo tutti è la cena in serata al “Giardino”, noto locale dell'isola.

Tecnicamente l’esame fotografico l’ho intrapreso definendo tre punti di ripresa nei quali ho usato la mia Arca Swiss con un dorso Phase One IQ160, messa su cavalletto.
Ho ottenuto delle immagini con una risoluzione di 8900x6700 px c/a utilizzabili a 300 dpi per una base di stampa di 76x57 cm (teorico negativo di base). Ho lavorato cercando di restare nella zona dei 400 ISO e con diaframma chiuso a F16.
Negli altri approcci, quelli della ricerca dei dettagli, ho utilizzato la mia Leica M 262 ed ho lavorato a mano libera cercando le particolarità di lavorazione delle cavità facendomi aiutare con un faretto alogeno da 1000w.

Qui la galleria con il lavoro prodotto.

Spero il piccolo resoconto possa essere di aiuto e mi auguro che questo progetto sia di ampio respiro e porti a dei risultati positivi e alla definizione del progetto finale.
Vi prego di scusarmi per la scarsa bravura nello redigere questo piccolo racconto.


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IpoTetico Diario #05 - La pioggia in lontananza

date » 03-09-2017 21:58

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tags » Pioggia, Portegrandi, strada, ricordo, nostalgia, macchine, SS14, poesia, ipotetico, diario,

La pioggia in lontananza
(SS14)
03/09/2017



Sono passati 30 anni da quando tu, eri ad un mese dal compierne 20.
Un giovane ragazzo, di una famiglia normale, in un Italia che, in quell’87, fin troppo voleva crescere e diventare diversa.
Dovevi fare la maturità.
Ed è cosi che con tutti gli amici, della stessa classe, ed i professori avete festeggiato, a Jesolo.
La fine di una avventura.
La fine dell’adolescenza.
E ti eri fatto un regalo speciale … un biglietto per il concerto degli U2. A Modena.
Joshua Tree Tour.
Lo aspettavi da tempo.
Non ci saresti mai andato.
Ti facevi il conto alla rovescia.
Ma non sapevi che lo stavi facendo alla tua vita.
Sei morto senza sapere neanche perchè.
Su quel ponte a Portegrandi, su quel muretto romanico, con i tuoi tre amici.
Avevate accompagnato a San Donà di Piave, un vostro compagno e poi tornavate a casa.
Per quella strada che oggi, ho rifatto dopo molto tempo.
Un componente ha ceduto, voi siete andati a schiantarvi.
Alle 4.03 di quella notte, mi sono svegliato.
(poi qualcuno mi ha detto che, presumibilmente, era l’orario dello schianto)
Alle 4.03 mi sveglio da 30 anni.
E vado a bere un po di acqua.
Quella strada mi ha portato via molto.
Oggi l’ho rifatta.
Forse il tempo.
Forse la pioggia distante.
Forse il blu delle nuvole.
Avevo la macchina fotografica con me.
Sono uscite queste foto.
Parevano essere in sintonia con la mia anima.
Macchine e pioggia in lontananza.
Blu.
Gli inglesi usano il termine blue per indicare la tristezza, la melanconia.
Si …
Blu e pioggia in lontananza.
Ne sento l’odore.
Le macchine corrono, ognuna posseduta da un sacro fuoco di velocità.
Piccoli ordigni.
Inconsapevoli della loro letale potenza.
Hanno tolto il muretto sul ponte.
Messo un guarda-rail.
Tanti semafori.
Rallenta.
Dicono.
Io, avrei voluto fermarti, io, quando ti ho visto per l’ultima volta.
Averti almeno abbracciato forte.
Ho solo potuto comprarti una bara, dopo.
Ti ho vestito nei tuoi resti.
E ti ho pianto in silenzio, ma neanche tanto.
Quando mi ubriacavo fino al vomito.
Oggi ti parlo, e ti ricordo, tramite queste foto.
Almeno non mi faccio del male.
Fratello mio.














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Evolutio Visio - Mestre 2015

Evolutio Visio - Mestre 2015
02/05/2017


Ciao a tutti,
eccoci di nuovo qui per il nostro terzo appuntamento con la fotografia e la nostra città, Mestre.
Oggi faremo dei ragionamenti su di un progetto che ha segnato molto il mio “modus operandi”.
Il progetto si chiama “Evolutio Visio - Sulle orme di Gabriele Basilico - Mestre 2015”.
Titolo che ci preannuncia un diretto ed implicito riferimento al grande fotografo che ha lasciato con i suoi lavori una traccia precisa, importante ed indelebile nella fotografia italiana ed internazionale.
Il mio accostamento è stato puramente citativo e non vuole assurgere a nessuna comparazione diretta con le foto del grande autore, che sono insuperabili, anzi ne vuole rievocare l’esistenza e utilizzarle come metro di paragone a distanza di un determinato lasso di tempo.
Abbiamo parlato ampiamente della “progettualità in fotografia” e questo è il mio apporto.
In quanto come accennato nel primo articolo, sono arrivato al completamento di questo lavoro, solo per via di una precisa modalità di lavoro e con il confronto con le altre persone che hanno condiviso il progetto, in primis il prof. Riccardo Caldura dell’Accademia di Belle Arti di Venezia.
Abbiamo visto, nel primo articolo, che ci sono stati due step precedenti ad Evolutio Visio, prima di averne una versione definitiva. Partito il tutto nel 2011, solo nel 2015 sono riuscito a dare alla luce un idea che fosse concreta ed presentabile.
Il tutto avviene grazie ad un personale miglioramento tecnico dovuto all’uso di una macchina fotografica, chiamata banco ottico. Cioè un apparecchiatura che rappresenta la terza sezione nel corredo tecnico di un fotografo. Nella prima troviamo le reflex e le mirrorless, nella seconda il medio formato, nella terza i banchi ottici. A dispetto delle prima due che sono comunque più maneggiabili i banchi ottici necessitano di un supporto treppiedi, di un livellamento e di una necessaria tecnicità nella fase di ripresa. Anche in postproduzione i files derivanti dai banchi ottici, che vengono presi da dei dorsi digitali, necessitano di un adeguata messa a punto, come d’altronde avveniva nel secolo scorso quando invece le conoscenze tecniche chimiche aiutavano a sviluppare al meglio le lastre prodotte dalle stesse macchine.



Torniamo a noi, questo progetto che esamina la parte “urbana” di Mestre (escludendo la parte storica) è stato esposto al Centro Culturale Candiani di Mestre, all’Università di Architettura IUAV di Venezia, alla Galleria Biffi Arte di Piacenza. E inoltre stato selezionato dal sito “beautyitaly” (che si occupa di indagare fotograficamente i territori italiani) per essere presente al XXIX Congresso dell’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) a Cagliari. Ultimamente è apparso sulla home page del sito di Architettura Italiana, che funge da atlante dell’architettura contemporanea, segno di un interesse deciso verso questo tipo di lavori.
Ho scritto varie piccole cose su questo lavoro e lo ho presentato più volte in occasione di alcune mie piccole lezioni sulla fotografia. Ed è capitato che chi non conoscesse Mestre ne fosse colpito per una sua sorta di bellezza che ne emergeva. Mi è capitato di ricevere dei complimenti da dei follower stranieri su Instagram che addirittura ne vedevano una sorta di città del futuro … sinceramente lasciandomi spiazzato, ma in parte orgoglioso.



Perché dopotutto la nostra città non è cosi brutta, avendo girato il mondo (poco) ho avuto certamente maniera di fare delle comparazioni, ed è vero che c’è di meglio … ma c’è anche di tanto, tanto, tanto peggio.
Quando poi ascolto i commenti piccati dei miei concittadini verso questa nostra città, ecco … resto molto perplesso.
Ne viene questa considerazione: “Ma se chi non conosce Mestre. guardando il mio progetto ribalta una sua idea preconcetta, addirittura la migliora, allora è la maniera di vedere di ognuno di noi quella che stabilisce il rapporto con l’ambiente circostante”.
Non a caso una citazione del 1878 di M. Hungerford in “Molly Brown” recita che “la bellezza è negli occhi di chi guarda”, ma il concetto possiamo trovarlo anche negli scritti di W. Shakespeare dove “il valore della bellezza è dato dal giudizio dell’occhio (…)”.
Arrivo senza fatica anche a capire che per opposto chiunque vorrà vedere brutta una cosa, in maniera intransigente ed acritica, continuerà a farlo.
Ma tornando alle nostre fotografie, con un po di attenzione alla ricerca del momento migliore o quello con la luce più adatta, sono riuscito a prelevare delle immagini che mi hanno veramente gratificato.
Segno che una parte di Mestre può essere godibile e piacevole … non sempre … ma in alcuni momenti … forse come tante persone scontrose che possono in rari momenti regalare sorrisi o gesti che fanno dimenticare tutto il resto.



Insomma il mio modesto contributo a Mestre è questo, quello dei miei occhi, in quel momento, con quell'idea.
Qui potete visionare, se ne avete voglia, nel mio sito, una galleria più estesa di immagini ed uno scritto importante di Riccardo Caldura a riguardo di “Evolutio Visio”.
Inoltre a questo indirizzo, che porta al sito di "beautyitaly" il mio articolo scritto per loro su Mestre e su "Lo sguardo e l'identità", che ripercorre un po il pensiero che vi ho appena espresso.
Perdonate sempre lo scribacchino per la sua maniera di scrivere e ciao a tutti, alla prossima settimana.


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