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IpoTetico Diario #09 - Liquido Confine III

date » 03-03-2020

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tags » Sile, Hasselblad, Laguna, Venezia, Caposile, fiume, albero, salso, dolce, acqua, ipotetico, diario,

Liquido Confine

Siamo affascinati dai confini, sopratutto quelli immateriali,
spesso li osserviamo,
con una sorta di lusinga nel voler varcarli.
Per dimostrare a noi stessi che possiamo farlo.
Come se fossimo gli unici a poterlo fare.
Come se non vi fossero mai complicazioni,
che tutto fosse permesso e non avesse conseguenze.
E ne uscissimo sempre vincitori, sedotti da un illusione.
Che alla fine, si rivela, una certa, sicura ed erronea, illusione.

Come se l’acqua dolce tracimasse nell’acqua salsa,
valicando il proprio confine,
fisico.
Ognuna delle due perderebbe qualcosa di suo.
Sarebbe persa la peculiarità.

Lo sapevano gli antichi veneziani che pensarono bene
di non far sfociare un fiume
d'acqua dolce,
dentro il sistema perfetto della laguna salata.
Crearono una barriera, un nuovo confine,
che non permettesse la coesistenza dell’acqua
dolce
con quella salsa.
Perché non era buona cosa.
Così come non può coesistere il bene con il male,
la virtù con la trasgressione,
la giustizia con l’ingiustizia,
la vita con la morte,
la purezza con la contaminazione,
la verità con la bugia.

L'unico confine in perenne fluttuazione,
indefinita
è quello del mare.

In una sorta di eterno conflitto per sommergere o respingere il bagnasciuga.
Un liquido confine in perenne mutamento.
Che prima o poi avrà un unico vincitore.

Come unico resta l’antico Tiresia,
sia mare che terra, sia uomo che donna,
l'unica eccezione senza bisogno di un confine,
testimone nel tempo per l'Olimpo.



Argine del fiume Sile sulla Laguna Nord di Venezia
dic 2019





Qui uno stralcio del progetto in corso




Tutti i testi e le foto sono protette da copyright.
E' vietato ogni utilizzo o riproduzione anche parziale non espressamente autorizzato dall'autore.
Giovanni Cecchinato Fotografo - All rights reserved - © 2020

Les Rencontres d'Arles 2019

Les Rencontres d'Arles 2019
50^ anni di successi del festival di fotografia più conosciuto in Europa



Quando Lucien Clergue (morto nel 2014) invitò nel 1974 Ansel Adams a questa piccola manifestazione fotografica, non poteva prevedere il successo a catena che si sarebbe creato. Insieme a Michel Tournier (morto nel 2016) e Jean-Maurice Rouquette, che ci ha lasciato quest’anno, formarono un gruppo capace di convergere l’attenzione mondiale dell’attività fotografica verso questa piccola città camarguese famosa precedentemente solo per il soggiorno del pittore Vincent Van Gogh.

Questo cinquantenario segna un momento di riflessione, svolta ed innovazione in questa rassegna. Lo stuolo di curatori di altissimo livello e l’organizzazione competente al massimo nel campo fotografico ha voluto rompere dei cliché ed avviarsi verso una rassegna i cui i nomi conosciuti mondialmente fossero assenti, ma altrettanti artisti di talento indiscusso e sicuramente di riferimento per il domani fossero invece i protagonisti.

Quando ho guardato per la prima volta il programma, confesso di non aver riconosciuto nessuno degli autori che venivano presentati. Con un po di sospetto ho cominciato ad avviarmi presso le esposizioni nei posti principali di centro città.
Posso assicurarvi , che subito dopo, una specie di sottile euforia ha preso il sopravvento e la voglia di esplorare tutti i restanti spazi mi ha assalito.

Spiccano tra tutte le mostre di Evangelia Kranioti “The living, the dead and those at sea”, Philippe Chancel “Datazone”, Mohamed Bourissa “Free Trade”, Mario del Corto “Vegetal Umanity, as the garden unfurls”, Cristian Lutz “Eldorado” e l’installazione di The Anonymous Project “The House”.
Progetti nuovi, realmente collegati al presente, citativi, ma allo stesso tempo capaci di scatenare pensieri, dubbi sul futuro, sulla nostra esistenza attuale e sulle diverse modalità di intraprendere i nostri percorsi di vita.



Evangelia KRANIOTI, greca, filmmaker e fotografa, ha esplorato i bordi delle esistenze e dei destini individuali tra cargo, marinai e prostitute, nel carnevale di Rio de Janeiro, nel Libano, in Africa e per finire nella necropoli del Cairo, usando una fotografia staged di altissimo livello che evocava a tratti Philip Lorca di Corcia.




Philip CHANCEL, in un lavoro durato 15 anni, ha esplorato le aree più sensibili del mondo per studiare e documentare i sintomi più evidenti del nostro declino, e mostrandoci in maniera inequivocabile i segni del prossimo, possibile, disastro.




Se Chancel si muove definendo zone geografiche sensibili, Mohamed BOURISSA esplora in maniera multimediale il libero scambio di merci. Evidenziando i ricchi “compratori”, coloro che “producono merce” nelle parti povere del mondo, ed i “disoccupati”, esercito invisibile che emerge solo se si sta usando un applicazione sul proprio smartphone. La mostra è stata allestita, non a caso, all'interno del MONOPRIX, un supermercato alla periferia di Arles.






Spettacolare l’installazione del lavoro di ANONYMOUS PROJECT, che seguendo i dettami dell’era post-fotografica, recupera immagini di autori anonimi per ricreare ambienti e sensazioni della vita degli anni ’50 e ’60. Momenti in cui si pensava ad un futuro prospero e felice, non di certo distopico come quello che stiamo vivendo.



Se queste opere, perché non posso chiamarle differentemente, mi hanno affascinato e colpito, le restanti hanno comunque avviato processi di pensiero, confronto e curiosità. Il numero delle mostre è sicuramente elevato e la settimana a disposizione non ha potuto permettere di vedere tutto, ma solo la parte principale de “Les Rencontres”.

Assieme alle esposizioni principali, dopo la Stazione, nello spazio Ground Control, i premi “Louis Roeder per le gallerie emergenti” ci ha introdotto a 10 selezioni di altissimo livello con giovani e sconosciuti autori che hanno presentato progetti personali, sociali, di indagine di qualità davvero superiore. Fra tutti il lavoro di Shinji Nagabe “Banana Republic” e JJ Levine “Family”.

Una retrospettiva sui 50 anni passati del festival ha creato la giusta connessione con il presente, unica pecca che nello spazio della chiesa “des trinitaires” (ma non solo in quello) il caldo era insopportabile. Pochi condizionatori e qualche ventilatore in molti spazi hanno sacrificato le visite e nei giorni più caldi, reso la visione di alcune mostre veramente impegnativa.





Nello spazio Mistral dedicato agli editori, non di meno allestito in un piazzale assolato, la permanenza è stata impegnativa ma nonostante tutto, vista la presenza di amici, vecchi e nuovi ci siamo trattenuti li per un bel po', con piacere. Possiamo dire che siamo stati fortunati ad avere un chiosco che spillava birra fresca molto vicino. Ritengo che come servizio di emergenza avrebbe dovuto essere più diffuso, noi ne abbiamo usufruito parecchio. Sia mai, per questioni di prevenzione della salute personale.

Una applicazione da scaricare gratuitamente nel telefono ci teneva costantemente informati degli eventi, le call, le conferenze, e gli eventi serali nei vari spazi della città.
Alla fine le considerazioni finali al rientro sono state più che positive, assieme agli spazi che prevedevano un recupero di progetti fotografici del '900 come quello sulle invenzioni, a volte molto bislacche, questa nuova ventata di aria fresca (solo fotografica) ci ha rinfrancato e caricato.
Se non fosse che nell’hotel dove ho soggiornato, non andava il condizionatore per 4 notti su 5, tutto sarebbe stato da catalogare come ottimo.
Ma come si sà non tutto fila sempre liscio.
Mi accontento ben volentieri.


Qui troverete il sito ufficiale del festival



Tutti i testi e le foto sono protette da copyright.
E' vietato ogni utilizzo o riproduzione anche parziale non espressamente autorizzato dall'autore.
Giovanni Cecchinato Fotografo - All rights reserved - © 2019

La fotografia di cantiere

La fotografia di cantiere a Venezia
Una parte importante nella documentazione di un lavoro di edilizia.




La logica vuole che prima di un edificio ci stato qualcos’altro.
O il niente.
O un altro manufatto.
Sempre per logica, una costruzione finita, o una ristrutturazione, passano attraverso una fase spesso dimenticata e temporanea che è il cantiere.

Mi ha incuriosito una definizione di cantiere, trovata in un volume fotografico interessante:

“Siamo abituati, per distratta consuetudine, a considerare il cantiere edile come la necessaria preparazione per qualcos’altro, la fase transitoria verso lo stadio di completamento dell’opera, il periodo di caos necessario e preliminare rispetto alla realizzazione, come se l’edificio finito dovesse essere il risultato inevitabile e predeterminato dei passaggi precedenti. Ciò naturalmente non è del tutto vero.”

Il libro è “Cantiere d’autore” ed in queste parole, Pio Baldi, presidente della Fondazione MAXXI, centra il punto non solo nella costruzione del fantastico museo di Roma, opera dell’architetto Zaha Hadid, ma su tutti i mille piccoli cantieri che danno vita a qualcosa che poi verrà abitato.

In realtà come quella di Venezia, il “cantiere” è di vitale importanza.

In questa città che si sviluppa attorno al X e XI secolo che diventerà poi una delle maggiori potenze del Mediterraneo, la costruzione di edifici, palazzi, abitazioni, oltre che ad essere innovativa e peculiare, muta nel trascorrere del tempo, adeguandosi alle rinnovate necessità della città.
Bastano un paio di cose per capire i presupposti costruttivi temibili e difficili: le case non hanno le fondamenta (per come le conosciamo classicamente) e sono perennemente immerse nell’acqua.
Eppure, hanno resistito e continuano a farlo da centinaia d’anni. Combattendo il madido e la più temibile salinità capace di sgretolare i muri più forti. Nei secoli una sapienza edile si è tramandata e per operare in un contesto così fragile e delicato ci vuole anche una buona abilità ed una competenza enorme.

Da tempo seguo le operazioni di cantiere di una azienda che opera in questi termini e che crede fortemente nel valore della storia nella ristrutturazione di un edificio. Azienda che segue i dettami originali delle costruzioni veneziane e nel ristrutturarle li adeguano alle normative e ad i materiali di costruzione attuali.

Soprattutto oggi dove case in contesti d’effetto, all’interno di una delle città più visitate d’Italia, diventano di nuovo abitabili e usufruibili, sia temporaneamente che stabilmente con i dettami imposti dalla legge e con il rispetto per il preesistente.
Ma la stessa azienda crede anche fortemente nella documentazione di quell’atto transitorio e di metamorfosi che è il cantiere.
Poiché, e qui ritorna la logica iniziale è destinato ad essere inglobato nell’attuale.

Ecco, allora, che entra in gioco anche un altra variante che è quella della fotografia.
Ed il fotografo deve diventare un traduttore che permetta di interpretare il prima, il durante, il dopo.
Ecco l’importanza del “com’era”, del “come abbiamo operato”, il tutto tradotto da una attività fotografica che permetta di capirlo.



Un tetto incendiato viene smantellato e ricostruito. Visibili i segni della costruzione delle travi con attrezzi manuali che hanno dato forma alla trave stessa. La capriata si chiamava a “un monaco” che individuava i travi verticali che la componevano. Si vede chiaramente la “spiza” ed il “pecà” i punti di appoggio delle singole travi incavate nel legno. Nonostante il calore sopportato le travi fanno ancora i loro dovere.




A parte vengono tenuti tutti i “copi” originali che rivestivano il tetto.





Un altro esempio di creazione di un muro a “scorzoni” che serviva per costruire dei muri non portanti.



Il rifacimento di un appartamento che si affaccia su Santa Maria del Giglio






Un esempio di ristrutturazione prima/dopo di un appartamento vicino a San Marcuola.




Nel produrre i miei lavori fotografici di architettura e cantieristica, uso una macchina tecnica Arca Swiss Rm3di con uno Schneider 5,6/35 XL Apo-Digitar, che mi restituisce una visuale di 102° ed un cerchio d’immagine di 90mm, a f11. Il dorso digitale applicato è un PhaseOne IQ160. Per garantire una massima efficenza utilizzo Capture One 11 per il trattamento dei file RAW, garantendo così, alla mia clientela, una qualità sopra alla norma.




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Un piccolo resoconto sulla Fujifilm GSX 50R

FUJIFILM GSX 50R



Ciao,
visto che in alcuni di voi è sorta la curiosità in merito alle performances di questa macchina fotografica, sorella del modello GSX50S, vi posso indicare alcune mie piccole riflessioni in merito, esenti da giudizi di parte, dopo questi primi giorni di utilizzo di un modello datomi in test (FUJIFILM GFX 50R con obiettivo GF 23mm f4) ed in attesa della mia macchina ufficiale. Sicuramente sul web potrete trovare articoli tecnici e recensioni abbastanza accurate su questo modello.

Prima di tutto sgombero il campo dal concetto “medio formato” perché non possiamo realmente parlarne, se non per via di una iniziativa di marketing pubblicitario.
Da possessore di sistemi Phase One, lo dico con cognizione di causa.



Il sensore si trova in una fascia intermedia tra il “full frame” di molte ammiraglie blasonate ed il sistema delle due leader di mercato Hasselblad e Phase One.
Il che comunque, come sappiamo bene, fa buon gioco e se le “dimensioni contano” sopratutto quelle del fotodiodo che cattura la luce, ci accorgiamo della differenza sopratutto nei passaggi tonali.
E posso dire che confrontando con la mia Canon 5D Mark IV “full frame”, ne ho avuto la certezzal. In una sessione di lavoro effettivo, ho potuto notare, non tanto nella definizione o nella struttura dell'immagine, (che possiamo definire "quasi" alla pari tra le due, visto anche l'utilizzo del 24mm TS/E II nella Canon che è una lente eccezionale) tanto quanto la gestione del colore e la resa tonale più morbida ed omogenea, sicuramente più realistica; insisto e mi ripeto ... “una più morbida transizione nel passaggio toni".

La FUJIFILM 50R è dotata di un sensore CMOS da 51,4 MP e di un processore X-Processor Pro. Questo implica che se però noi usiamo delle schede poco performanti, viene vanificata tutta la velocità di elaborazione e di scatto. L'otturatore a tendina è stato sviluppato specificamente per questa fotocamera e assicura una velocità massima di 1/4000s (1/16000s con l'otturatore elettronico), una velocità di sincro flash di 1/125 sec o inferiore, alte prestazioni e una lunga durata, con una resistenza dell'otturatore fino a 150.000 scatti*, assicurando al contempo ridotte vibrazione e un funzionamento silenzioso. Questo è il primo modello del sistema GFX a supportare la tecnologia a basso consumo energetico Bluetooth®. Le immagini scattate possono essere trasferite in modo semplice e rapido a smartphone e tablet accoppiati con la fotocamera tramite l’app FUJIFILM Camera Remote, diventando veramente comodo.
Una delle cose interessanti è la misurazione TTL 256 zone, con modalità Multi / Spot / Media / Media pesata al centro
La compensazione dell’esposizione si muove da -5,0 EV a +5,0 EV a intervalli di 1/3 EV, meglio dei soliti 3 stop ed è presente una comoda funzione di intervallometro.
Il mirino OLED a colori 0,5" ca. e da 3,69 milioni di punti, dà una buona visibilità in merito, che però implica di avere sempre la macchina accesa con le ovvie richieste di energia.
Sono presenti 15 modalità di sviluppo JPG (PROVIA / Standard, Velvia / Vivid, ASTIA / Soft, CLASSIC CHROME, PRO Neg.Hi, PRO Neg.Std, Black& White, Black& White+Ye Filter, Black& White+R Filter, Black& White+GFilter, Sepia, ACROS, ACROS+Ye Filter, ACROS+R Filter, ACROS+G Filter) ma al sottoscritto che lavora sempre in Raw non può che interessare in minima parte.

Grande cosa è che la macchina è 160,7mm (largh.) x 96,5mm (alt.) x 66,4mm (prof.) in misure ma sopratutto è poco meno di 800 gr. di peso, il che fornisce una buona trasportabilità, senza grandi pesi ed ingombri. Basta una normale sacca a tracolla. Nella mia Greenland ci stava anche una datata ma stupenda Hasselblad SWC/M, giusto per dirvi.



Ora, un lato poco positivo è che la velocità di scatto non rappresenta una grande attrattiva, ma per chi come me veniva da Hasselblad sistema H, non è di certo una novità e ci si adegua immediatamente.
Alla fine la cosa importante è di sicuro come si vanno a trattare i dati Raw e con che software. Io uso Capture One nella vers. 11, come molti di voi già sapranno, ed i file Fuji sono gestibili in maniera molto dinamica e produttiva.

Qui vi allego un mio scatto di test, fatto sul Col Visentin sul Nevegal (BL) in pieno controluce e con abbondanti aree in ombra, il sole è in campo e lo si vede in alto a destra.






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Inaugurazione "Pastorale Veneziana" (pensando a P. Roth)


PASTORALE VENEZIANA (pensando a P. Roth)
Maggio 2018



“Capire bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando.” Philip Roth 







Era circa fine maggio dell’anno scorso e mi trovavo ad effettuare un commissionato sulla Biennale di Architettura di Venezia. Solitamente quando affronto un lavoro così cerco di restare legato a solo quello che la committenza ha richiesto. Ma in maniera parallela, in quel frangente, mi scattò in testa una lettura connessa alla relazione tra le persone presenti ed il “Luogo Biennale”. Da poco se ne era andato Philip Roth, grande scrittore americano, di cui lessi “Pastorale Americana” e “Ho sposato un comunista”. Entrambi i libri ritraevano e definivano bene l’America degli anni '70/'90 e ne creavano una fotografia precisa della media borghesia (ebrea) di quegli anni, con tutte le sue contraddizioni. Forse solo per similitudine, contraddizioni più o meno esplicite, o semplice voglia di omaggio, ho collegato la mia lettura di questo evento e ne ho trovato un “pretesto” per accomunare progetti/opere e "persone presenti". Una specie di spaccato umano (senza troppa analisi ed un po’ “di pancia”) nei giorni di pre-apertura, dove gli invitati sono solo i media e gli addetti al settore, che rendono, con il loro “fruire o stazionare” nel “Luogo Biennale”, un momento sicuramente diverso rispetto a quello usuale.








INAUGURAZIONE VENERDI 31 ALLE ORE 18:00
PRESSO PHOTOMARKET VIA GIUSTIZIA 49/A
fianco Ristorante All'Amelia



Sito Photomarket


Pubblicazione su LOTUS International



E'stata una strana sensazione ricevere a casa per posta l'ultimo numero di LOTUS International.
Strana perché all'interno, tra foto di J. Meyerowitz e R. Misrach ho trovato delle foto di G. Cecchinato.
😏
Non che non lo sapessi, intendiamo, le foto mi erano state ordinate tempo addietro.
Ma ugualmente, alla vista, di una parte del mio lavoro "Liquido Confine" , su di una rivista tanto prestigiosa, mi ha dato una sorta di forte soddisfazione.
Svanita subito dopo, vissuta in un breve momento.

Che dire, ho fatto un post, perché in questo diario ci stava.
Giusto per ricordare quella fugace emozione.






Lo Sguardo e l'Ombelico Edizione 2019


"Lo Sguardo e l’Ombelico"

3^ Edizione 26 gennaio - 23 marzo 2019

L’altra metà della mela?



L'incontro di apertura del 2017 con il prof. Riccardo Caldura e Fulvio Bortolozzo



“Fotografia” (s.f.) Procedimento che, mediante processi chimico-fisici, permette di ottenere, servendosi di un apposito apparecchio (macchina fotografica), l’immagine di persone, oggetti, strutture, situazioni. (Cit. Voc. Treccani)
Quindi, la “fotografia” come risultato del processo, nel rivelare il suo contenuto materiale, non ha sicuramente nessun ruolo di genere.
Essa ci mostra in maniera neutra, fisica, quello che un processo meccanico ha generato.
Sia stato esso di origine chimica o digitale.
Ma nei nostri occhi che guardano quel contenuto e lo dichiarano di conseguenza “immagine”, si innesca un meccanismo, che nei i più attenti si chiama “lettura”.
Tale “lettura” può essere raffinata o superficiale, dipende dal grado di cultura del “lettore” stesso, dalla sua esperienza in merito, dalla sua sensibilità verso quell’”immagine”.
Sopratutto dall’educazione del suo sguardo.
Ma esiste un termine per cui all’interno di quella “lettura” si possa distinguere se l’autore di quell’”immagine”sia stato un uomo od una donna?
C’è chi sostiene indiscutibilmente di si, chi invece lo nega altrettanto energicamente.
Quanto può essere diversa, allora, la fotografia fatta da una donna da quella fatta da un uomo?
Esiste uno sguardo prettamente femminile ed uno maschile?
Uno più portato alla poesia , all’emozione ed uno più tecnico e neutro?
Ma alla fine, può essere utile differenziarlo o meno?
E’ un tema interessante, e ricco di risvolti che andremo a sviluppare, indagare, insieme alle fotografe ospiti e la loro esperienza diretta.
Dunque in questa edizione, tutta al femminile, ascolteremo nomi di spicco della fotografia italiana, sia professionale che artistica che ci parleranno della loro esperienza in merito e della loro visione di donne nella fotografia in questo terzo millennio.


26 gennaio 2019 - Paola De Pietri

09 febbraio 2019 - Silvia Camporesi

23 febbraio 2019 - Marina Alessi

09 marzo 2019 - Allegra Martin e Benedetta Falugi

23 marzo 2019 - Maria Vittoria Backhaus



Tutti gli incontri sono gratuiti e si terranno al Centro Culturale Candiani di Mestre con inizio alle ore 18:00.

Organizzazione e cura degli incontri è come per le edizioni passate, un mio piccolo onere ed un grande orgoglio.


1^ ed. Febbraio 2017 Incontro con Efrem Raimondi



1^ ed. Marzo 2017 incontro con Settimio Benedusi



2^ ed. Febbraio 2018 incontro con Luca Panaro



La manifestazione è patrocinata dall'Assessorato alla Cultura di Venezia e CNA Veneto.

Sponsor Photomarket Video - Mestre


A questo indirizzo si possono rivedere i video delle passate edizioni.


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IpoTetico Diario #08 - Un dettaglio una minuzia

date » 06-11-2018

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tags » Dettaglio, Antonioni, Guerra, Fontcuberta, Porzione, Fotografia, Pensiero, Termine, Cadore, Belluno, ipotetico, diario,

Un dettaglio una minuzia
Novembre 2018



Quello che mi sorprende, non sempre per la verità,
quando guardo qualsiasi scatto fotografico
è che in una piccola parte di esso si nascondono, si racchiudono, tanti sfuggevoli dettagli.
Ma non è cosa nuova, direte voi.
Dettagli dovuti al tempo che si è depositato su di essi,
a volte
dovute all’indeterminatezza del caso.
Logico, che vada in questo modo.
Ogni piccola cosa in questo mondo è vasta tanto quanto un universo,
di molecole e atomi
e di conseguenza "elementi" che compongono un insieme.
Questo mi fa pensare su come sia “impensabile” avere mai un senso preciso del tutto.
Quanto tutto sia stratificato e composito.
Nel fotografico poi,
senza scomodare Franco Vaccari ed il suo “Inconscio Tecnologico”,
ogni fotografia, davvero, rivela mondi laterali
o insiti e sconosciuti al momento dello scatto stesso.
Ed è quello che ancora mi appassiona,
la visione di quello che “non avevo visto”
e tutte le sue possibili, nascoste, composite, sfaccettature.
I possibili scenari anche solo fantasiosi.
Che prendono forma nel mio pensiero.
Ecco perché a volte mi fido di più di una fotografia che di qualsiasi altra cosa.
Lei a volte mi rivela delle storie
non incluse in ciò che vedo in quel momento.
Magari solo nel mio immaginario, sia ben chiaro.
Me lo ha spiegato bene Antonioni in “Blow-up”.
E non è un dettaglio che la sceneggiatura fosse dell’ “ottimista” Tonino Guerra.
Ma, adesso, anche senza svelare crimini o storie contorte.
Mi basta che quella mia minuzia mi permetta di pensare a qualche storia di vita,
comune, qualunque,
serena o disgraziata che sia.
Ecco perché ancora provo piacere a fotografare in questa era post-fotografica, giusto per citare Fontcuberta.
Può essere importante, educativo, comparativo,
leggere, con una porzione di fotografia,
la vita di chi passava per una porta
o guardava da una finestra?
Immagino,
la ricerca del calore verso una stufa?
Il preparare da mangiare verso la sera?
E confrontare la mia, la nostra, agiata esistenza?
Il nostro subitaneo giudizio a qualsiasi cosa.
Rispetto ad una lenta e paziente saggezza popolare.
Il nostro comfort odierno rispetto ad uno scomodo e naturale confronto con la montagna.
Sarà forse sbagliato leggere questo?
O vederlo?
Non lo so, penso faccia parte del gioco
e del guardare tramite un obiettivo
ciò che il mondo ci mette davanti.
D’altra parte, un bravo fotografo ha detto
che bisogna
dichiarare la propria visione del mondo, fotografia dopo fotografia.
Io non posso che dichiarare la mia, ci provo, tento di farlo.
Magari sbaglio.




Dal progetto SS51 - Immagini da una desistenza
Termine di Cadore (BL)
Ottobre 2018



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GOBE Filters

date » 26-10-2018

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tags » GOBE, filters, filtri, polarizzatore, UV, tecnica, etica, alberi, trees, fotografia, australia, consigli,

GOBE Filters.



Come in accordo e accennato su FB, mi permetto di scrivere questo articolo sul mio ultimo acquisto di filtri per obiettivi.
Perché mai direte voi?



Perché la comunicazione dell’azienda che li produce è davvero singolare ed etica.
Per ogni prodotto acquistato da GOBE, azienda con sede in Australia, viene garantita una cinquina di alberi piantati in Madagascar o Haiti o Nepal. Guardate QUI
La cosa mi è piaciuta e penso dovrebbe essere diffusa come modalità di commercio.
Dunque mi sono registrato al sito e poiché da tempo dovevo acquistare dei polarizzatori e dei filtri anti UV per due obiettivi (e rimandavo l’acquisto per via della spesa), ho trovato questa opportunità e ne sono rimasto colpito.

Bando alle ciance ho acquistato il necessario e dopo due giorni avevo tutto il materiale a casa.

Innanzitutto devo dire che i prodotti venduti si dividono in tre categoria: entry mid e top.


Io mi sono indirizzato subito alla zona top poiché costruiti in 16 strati di pellicola multiresistente dalla tedesca SHOTT, e la cosa mi rassicurava molto.

Devo inoltre dire che il costo di 4 lenti: due UV e due polarizzatori (in misure 52mm e 82mm), ha coperto l’acquisto di un solo polarizzatore di una delle marche più blasonate.

Gli imballi sono funzionali e protettivi, costruiti con carta riciclata e non vi è traccia di plastica alcuna.


Gli stessi tappi di chiusura sono in alluminio e filettati così da essere usati come protezione e scatola allo stesso tempo. Potrei anzi consigliare di usarli come tappi di protezione degli obiettivi stessi, lasciando a casa quelli di plastica.


Con il pacchetto del kit che contiene un filtro uV ed un polarizzatore, arriva anche un codice con il quale andare nel sito di GOBE e iscriversi al programma di impianto dei germogli.


Mi sono subito dopo rivolto all’opportuna pulizia delle lenti, che raccomando vivamente a tutti prima di installarli, con l’aiuto di un panno antistatico e l’indispensabile pompetta della Hama.

Poi mi sono apprestato a fare qualche scatto di prova sopratutto per il timore che l’effetto polarizzante fosse poco visibile. Come mi successe tempo addietro con altri polarizzatori a basso costo.


Invece il risultato è stato molto buono sopratutto in termini di neutralità dei colori (non accade che virino durante la rotazione) ed unica nota in merito è la non proprio fluida rotazione dei due vetri. Un pò scattosa. Penso sia dovuto al probabile attrito dell’alluminio tra le due lastre. Ma è cosa di poco conto, che presumo si affievolisca nel tempo dopo un po di rotazioni.


Qui sotto vi posto due immagini di test fatte al volo con la Canon 5D MKIV ed un obiettivo Canon TS-EII al quale ho applicato il filtro UV e quello polarizzatore della GOBE. E' bene evidente l'effetto polarizzante anche se la foto non è molto contrastata ed è scattata con +0,6 di correzione sull'esposizione, per evidenziare l'effetto sul riflesso.
PS giusto per ricordare che l'effetto polarizzante è l'unico che non può essere replicato in postproduzione. Deve essere per forza gestito fisicamente al momento dello scatto.




Che dire, intanto date un occhio al sito e verificate il tutto.
Io resto a vostra disposizione se avrete qualche domanda in merito.
QUI il sito GOBE.



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Giovanni Cecchinato Fotografo - All rights reserved - © 2018

ISOZERO

date » 08-10-2018 17:43

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tags » ISOZERO, Efrem, Raimondi, Laboratorio, Fotografia, Rimini, Oxygen,

ISOZERO
Viserbella - Rimini
05-07 ott 2018





Nello scorso week-end un po’ sottotraccia, ma non sottotono, ho partecipato al primo incontro del laboratorio di fotografia ISOZERO di Efrem Raimondi a Rimini.
Sono stati un paio di giorni pieni di fotografie, nuovi e vecchi amici, progetti, e indicazioni.
Un paio di giorni di confronti, alcuni tesi, altri scherzosi, ma comunque confronti.
Perché, a mio avviso, la fotografia è questo, un confronto continuo.
Pochi scatti, perlopiù fatti per rilassare la mente, molte parole e molti concetti.
Logico che nell’incontro di una trentina di fotografi, provenienti da ogni parte d’Italia, le differenze di visione siano molte e talvolta ampie, ma la presenza di un coach di tutto rispetto ha permesso di creare un terreno neutro in cui, bene o male, i singoli progetti sono stati vivisezionati, scardinati, criticati ma sopratutto arricchiti.
Dal mio piccolo e personale punto di vista non posso che ringraziare Efrem Raimondi, di tutto ciò.
Ma sento, in egual misura, di ringraziare tutti i partecipanti per avermi permesso di vedere e dialogare con loro sui loro progetti fotografici, e poi anche sul mio.
Ne sono uscito di sicuro più carico e felice di far parte di questo laboratorio, inusuale nel suo metodo e nel suo percorso.
Oggi posso dire: grazie Efrem, ci vediamo alla prossima, e vedrai che non potrai più dirmi che il mio progetto lo vuoi fare tu.


Qui il link al blog di Efrem Raimondi e a ISOZERO



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