Campus Scientifico di Cà Foscari per il decennale 2014-2024
“La scienza e l'arte appartengono al mondo intero, e davanti a loro svaniscono le barriere della nazionalità.” di Johann Wolfgang von Goethe.)
Durante le mie lezioni di fotografia tra circoli fotografici, conferenze e incontri vari, parto di solito dalla relazione fra il momento storico in cui stiamo vivendo e la fotografia.
Secondo Joan Fontcuberta, in un brillante testo del 2016 il periodo può venire catalogato come “post-fotografico”, e caratterizzerebbe una società ipermoderna segnata dall’asfissia del consumo in cui la ridondanza delle immagini induce a pensare che la fotografia sia “morta”. Sono trascorsi già alcuni anni dalla prima edizione spagnola, ma le cose non sono affatto cambiate. Semmai l’ affermazione di Fontcuberta potremmo accentuarla ulteriormente definendo la condizione odierna “post-post-fotografica”.
Momento, dunque, in cui essendo stato detto tutto, anche alla fotografia non rimane nulla da dire; tutt’al più ci si potrebbe attendere una rivolta delle fotografie stesse … una “furia delle immagini” verso i nostri occhi così saturati dai social e da una globalizzazione del pubblico a tal punto da spingere verso il “non-qualitativo” (così a parere di Efrem Raimondi), ancor di più verso “il mediocre” per accontentare il palato del mainstream. E la fotografia più che arte, diventa merce di consumo di massa a scadenza programmata
Riavvolgendo il nastro degli anni, ci accorgiamo però che tale panorama a veder bene non rappresenta una novità per i fotografi. Ce lo ricorda con lucidità Henri Cartier-Bresson quando, a proposito dell’opera di André Kertész, affermava “Tutto quello che abbiamo fatto lo ha fatto Kertész prima”, ed erano gli anni ’60 del secolo scors.o
Affrontare progetti fotografici significa accingersi ad una prova non certo priva di ostacoli, per superare la quale conviene assumere l’atteggiamento dell’atleta che spinge i limiti fisici del proprio corpo, tentando di stabilire un nuovo record. In fondo anche al fotografo spetta un compito analogo: con la giusta dose di allenamento e concentrazione ci si prepara al difficile tentativo di apportare il proprio contributo ad una storia densa di molte sfide vinte.
Nel nostro tentativo di restituzione per immagini della storia recente del Campus di Ca’ Foscari dedicato alla ricerca e studio delle molecole e dei nanosistemi e inaugurato una decina di anni orsono, non si poteva che partire dalle condizioni date, provando ad esprimere e sintetizzare gli aspetti peculiari di luoghi caratterizzati dalle esigenze scientifiche del lavoro quotidiano.
Nel raccontare le architetture del Campus, mi sono rifatto in primis ad un precedente mio lavoro “Evolutio Visio - Seguendo le orme di Gabriele Basilico riproponendo cinque immagini, già esposte in varie parti d’Italia nell’insieme del lavoro di documentazione della città di Mestre svolta in quel periodo, documentazione che a sua volta si richiamava ad una precedente campagna fotografica prodotta dal grande fotografo milanese nel 2000 in occasione della mostra di apertura del Centro Candiani.
L’approccio al progetto fotografico che ora si presenta è volutamente rimasto di taglio “documentaristico” così da poter descrivere non solo l’esterno, ma anche l’interno del comparto universitario, rimanendo fedele ad un approccio il più possibile descrittivo, attento al nuovo paesaggio architettonico e produttivo lungo questo bordo di Mestre, così vicino al complesso storico di Forte Marghera. In questo caso posso citare Albert Renger-Patzsch quando diceva che il fotografo deve essere “schiavo delle circostanze” e si deve prendere cura anche di ciò che la realtà mette (anche) in disordine, anche se all’interno dell’area nessun elemento viene messo a caso.
Se per lo spazio esterno ho potuto riferirmi esplicitamente a Gabriele Basilico, per l’indagine svolta all’interno dei laboratori, sono altri i rimandi necessari, rimandi che considero come una chiave di lettura aggiuntiva e coadiuvante il racconto delle attività che vi si svolgono. Mi riferisco in particolare alle metodiche dedicate al mondo del lavoro svolte da William Guerrieri con Linea di Confine, alle quali, in almeno un caso, ho direttamente partecipato. Si trattava del progetto JOBS in collaborazione con la Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura nel 2021.
Ho considerato anche l’approccio di Walter Niedermayr per la capacità di raccontare lo spazio ed il silenzio dell’operatore intento nel suo lavoro, così da cogliere quelle particolari atmosfere che si generano per un verso in assenza delle persone, e per altro verso nella interazione fra queste e i sofisticati dispositivi ad alta tecnologia che sondano le particelle infinitesimali della materia.
Un ultimo accenno va alle ricerche visive di Mattia Balsamini, per l’attenzione che rivolge al rapporto fra ambienti, luce e tonalità cromatiche così da raccontarli con un taglio molto contemporaneo, che ho pensato di richiamare impostando il mio lavoro negli interni del Campus.
Mi sono permesso di citare questi autori, perché sono convinto che, analogamente al lavoro scientifico dove il dialogo con le ricerche precedenti è vitale per il proseguimento della ricerca stessa, anche nell’approccio artistico la capacità di essere innovativi è dovuta alla relazione che si intesse con chi ha già dovuto affrontare analoghi problemi. Il sedimentarsi delle esperienze, siano queste scientifiche o artistiche, è una condizione fertile anche in ambito fotografico, nonostante il ‘consumo’ delle immagini di cui si parlava.
Dunque, ritornando a noi, la fotografia passata, quella di qualità, quanto quella di autori intellettualmente e non solo tecnicamente vivi e stimolanti, può costituire un terreno proficuo per nuove idee e nuovi racconti, dimostrando quanto la fotografia abbia, nonostante tutto, anche oggi una funzione utilissima per favorire la comprensione di un luogo nella sua condizione presente e nella sua propensione futura.
In chiusura di questa breve nota il mio sentito ringraziamento va all’Ateneo per avermi coinvolto in questo importante progetto; al supporto morale e concreto dei membri dell’Associazione “Mestre Mia”; a Sandro Battaglia che mi ha assistito durante le sessioni fotografiche per nulla semplici, a tutti i maestri della fotografia che mi ispirano continuamente e mi fanno pensare che la fotografia “non è morta”. Un ringraziamento speciale va al prof. Riccardo Caldura per l’attenzione con cui segue da tempo il mio lavoro. Grazie a tutti voi.